History

After The Gold Rush, il capolavoro ambientalista di Neil Young

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Author image Gianluigi Riccardo

19 settembre 2025 alle ore 14:03, agg. alle 17:03

Tra ambientalismo, scenari post-apocalittici e spiritualità, con After The Gold Rush Neil Young metteva a segno uno dei suoi album più importanti

Nel settembre del 1970, Neil Young pubblicava uno degli album più influenti della storia del rock americano.

After The Gold Rush, terzo lavoro solista del cantautore canadese, metteva in fila tematiche come il collasso ecologico, le visioni mistiche e la malinconia rurale di un’America già disillusa. Un'opera di transizione che segnava il passaggio da eroe della controcultura hippie a profeta apocalittico del rock cantautorale.

Quando Neil Young comincia a lavorare su After The Gold Rush, si trova all’apice di una carriera già sorprendentemente sfaccettata.




Dopo il successo con i Buffalo Springfield e un primo album solista omonimo ancora acerbo, Young aveva ottenuto un buon riscontro con Everybody Knows This Is Nowhere (1969), sostenuto dalla sua nuova band, i Crazy Horse. Ma è soprattutto l’anno precedente, con Déjà Vu (1970), che Neil esplode nel supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young, facendo emergere la sua vena più oscura e intensa, in netto contrasto con l’armonia vocale degli altri membri.

La tensione interna al gruppo, però, è palpabile.

L’ego smisurato dei suoi compagni, la voglia di autonomia artistica e la repulsione per la spettacolarizzazione della musica lo spingono a tornare in solitaria.

After The Gold Rush nasce così, quasi in sordina, durante un momento in cui Neil cerca rifugio in un’arte più intima e personale.


Il film mai realizzato alla base del disco

L’album trae il suo titolo da un film ecologista mai realizzato scritto da Dean Stockwell e Herb Berman, al quale Young voleva contribuire con la colonna sonora.

Il progetto cinematografico naufragò, ma i semi gettati germogliarono in uno dei concept più stranianti della storia del rock. In After The Gold Rush convivono scenari post-apocalittici, nostalgia bucolica, spiritualità e crisi ambientale, il tutto filtrato dalla sensibilità di un cantautore in cerca di verità.

Il disco venne registrato in maniera spartana al basement di casa di Young a Topanga Canyon, California, e poi ai Sunset Sound di Los Angeles. La produzione, essenziale ma efficace, fu affidata allo stesso Neil Young, assieme a David Briggs e Kendall Pacios.

La leggenda vuole che molte parti vocali siano state registrate in una sola take, mentre Young era febbricitante. L’approccio era diretto, quasi punk ante-litteram: poca produzione, tanta anima. Lofgren ha raccontato di essere stato buttato nella mischia da Neil senza nemmeno sapere leggere la musica per pianoforte.

Lontano dagli arrangiamenti grandiosi dei CSN&Y, After The Gold Rush si distingue per un sound asciutto, crudo, quasi da demo, dove dominano il pianoforte, la chitarra acustica e la voce fragile di Neil. Lo accompagna un giovanissimo Nils Lofgren (futuro membro della E Street Band di Springsteen), appena diciottenne, che suona il pianoforte nonostante fosse principalmente chitarrista. Al basso Danny Whitten (Crazy Horse), alla batteria Ralph Molina.

Il risultato è un album folk-rock dalla struttura cangiante, dove si passa con naturalezza dal gospel rurale alla psichedelia, dalla dolcezza country a momenti di vero e proprio spiazzamento sonoro.


Tra poesia, visioni apocalittiche e polemiche

Il disco si apre con Tell Me Why, una ballata dolceamara con armonie vocali che richiamano i fasti CSN&Y, ma subito la title track catapulta l’ascoltatore in una dimensione onirica e devastata: “Look at Mother Nature on the run in the 1970s”, canta Young accompagnato solo da un piano malinconico e un corno francese, in uno dei versi più profetici di sempre.

Southern Man è il momento più rock del disco: rabbiosa denuncia contro il razzismo nel Sud degli Stati Uniti, tanto da generare la celebre risposta piccata dei Lynyrd Skynyrd con Sweet Home Alabama. 

Altri momenti notevoli sono Only Love Can Break Your Heart, struggente ballata sulla vulnerabilità dell’amore, e Don’t Let It Bring You Down, dove la voce spettrale di Neil accompagna un testo oscuro e quasi esistenziale. Chiude l’album una cover tradizionale, Oh Lonesome Me, resa ancora più cupa dall’arrangiamento minimale.



Un disco spirituale e controverso

After The Gold Rush è un disco pervaso da un senso di perdita. Non solo personale, ma collettiva. Young parla di una natura ferita, di un’umanità smarrita, di sogni infranti e visioni futuristiche. È una critica sottile ma potente all’America post-Woodstock, che si sta risvegliando dal sogno utopico degli anni '60. In anticipo di decenni su certe tematiche ambientali, Neil canta del collasso ecologico come di una ferita aperta.

Ma nel disco c’è anche una spiritualità latente, un romanticismo sporco che emerge nei brani più intimi, e una tensione continua tra speranza e disperazione.

Alcuni critici non compresero la sua natura frammentaria, altri lo osannarono come un capolavoro. Con il tempo, il disco è diventato uno dei più celebrati della carriera di Young, certificato disco d’oro nel 1972 e successivamente doppio platino. Molti artisti, da Radiohead a Wilco, lo citano come fonte d’ispirazione.

Rolling Stone lo ha inserito tra i migliori album di tutti i tempi, e Only Love Can Break Your Heart è diventata una delle ballate più amate del repertorio younghiano.








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