History

Wolf Alice: l’eleganza più luminosa del rock anni ’70

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Author image Gianni Rojatti

11 novembre 2025 alle ore 12:59, agg. alle 13:47

I Wolf Alice rivivono l’anima elegante del soft rock anni ’70: la trasformano in un linguaggio moderno, acustico, ricco di colori e arrangiamenti impeccabili

Negli anni ’70 una parte del rock puntava su eleganza acustica, arrangiamenti millimetrici e armonie raffinate. Era la stagione di Eagles, Fleetwood Mac, Wings e Supertramp: luminosa, melodica, impeccabile, ma spesso percepita come meno “da band” rispetto alle nuove tendenze più ruvide che da lì a poco avrebbero attecchito tra punk, heavy metal e new wave. I Wolf Alice riportano oggi quella sensibilità in un contesto moderno: chitarre pulite, dinamiche morbide, costruzione sonora meticolosa. Riprendono la scuola più elegante del rock anni ’70 senza nostalgia, trasformandola in un’identità attuale che resta rock pur evitando distorsione, volume, cliché e formule prevedibili.


Ellie Rowsell (voce, chitarra), Joff Oddie (chitarre), Theo Ellis (basso) e Joel Amey (batteria) nascono come duo acustico e diventano una delle band più originali della scena inglese. Nel percorso pubblicano MY LOVE IS COOL (2015), VISIONS OF A LIFE (2017, MERCURY PRIZE) e BLUE WEEKEND (2021). Il recente THE CLEARING consolida la loro svolta nell’ispirazione del rock anni ’70: arrangiamenti eleganti, attenzione timbrica e un approccio da band matura e riconoscibile che oggi trova una propria identità distinta nel panorama contemporaneo.

La stagione del Soft Rock

Nel panorama del rock contemporaneo, i Wolf Alice occupano un territorio tutto loro. Non perché inseguano l’ennesima rilettura indie, punk, grunge o alternative – terreni ormai ampiamente esplorati – ma perché hanno rimesso al centro una pagina degli anni ’70: quella del soft rock, che per decenni è stata considerata un classico, ma con quell’aura un po’ polverosa. Una stagione splendida da ascoltare, certo, ma meno suggestiva e “cool” da far rivivere, strumenti al collo. l soft rock è stato la stagione dell’eleganza gentile, della cura assoluta per gli arrangiamenti, del suono acustico che prende il sopravvento in un territorio da sempre presidiato dalle chitarre elettriche. È la stagione firmata da Eagles, Fleetwood Mac, Steely Dan, America, Wings, Supertramp. Una tradizione spesso liquidata come troppo raffinata, troppo levigata, poco “rock” secondo i manuali più rigidi delle band. Perché, per quanto se ne riconosca lo splendore, quando si parla di rock legato a una band l’immaginario comune premia altro: ruvidezza, volume, urgenza. I Wolf Alice sfidano esattamente questo pregiudizio, scegliendo una via sonora garbata e controcorrente. E ne ribaltano anche un altro: quello della solita equazione “voce femminile + band ruvida”, dell’idea di punk-alternative band al femminile.
Evitano i cliché di Hole, Paramore, Yeah Yeah Yeahs, Juliette & The Licks, Guano Apes, primi No Doubt, Amyl and the Sniffers. I Wolf Alice spostano il baricentro altrove.


THE CLEARING

Il loro album più recente, fotografa questo cambio di prospettiva. La band si lascia alle spalle la stagione più abrasiva, le influenze grunge, quella cattiveria sonora che aveva caratterizzato parte del loro percorso. E torna a un’idea di scrittura più vicina alle origini: quando erano un duo acustico, quando il suono nasceva dalla convivenza stretta tra voce, chitarre pulite, dinamiche morbide. C’è un dettaglio decisivo: l’impatto del documentario "Get Back" dei Beatles. Per Ellie Rowsell e compagni è stato un colpo di fulmine, quasi un manifesto. Non solo per l’ispirazione musicale, ma per la fotografia di una band che crea suonando, sbagliando, riprovando, vivendo in sala prove. In un’epoca in cui l’industria spinge verso solisti, producer project e progetti “snelli”, i Wolf Alice rivendicano il contrario: essere una band vera, con un’identità condivisa e una visione collettiva. Il risultato è un album che guarda al rock classico senza scimmiottarlo. Recupera la pulizia del soft rock, la centralità delle armonie vocali, la ricerca timbrica che non passa dalla distorsione, ma dai colori acustici, dagli strumenti laterali, dagli arrangiamenti costruiti con pazienza. Un soft rock non nostalgico, ma ripensato: libero dall’immaginario patinato che negli anni ’80 e ’90 lo aveva fatto sembrare poco credibile. La forza di THE CLEARING è tutta qui: riportare in primo piano un’estetica che il rock aveva accantonato e farlo con una band giovane, consapevole, che oggi suona diversa. I Wolf Alice scelgono una via che in pochi stanno percorrendo.


La vena Art Rock

Un ruolo decisivo in questa identità così sfaccettata ce l’ha Ellie Rowsell, perché è lei a dare coerenza a un disco volutamente eclettico. La sua voce tiene insieme tutto: versatile, tecnica, iper-espressiva. In THE CLEARING brilla in mille modi diversi, passando da registri morbidi e quasi sussurrati a scatti più ruvidi, ereditati dalle sue radici indie-punk. L’esempio più impressionante è “Bloom, Baby, Bloom”, dove Ellie arriva a sfiorare un’intensità alla Kate Bush: controllo totale, dinamiche elastiche, quella musicalità un po’ visionaria che apre la porta all’art-rock più anticonvenzionale. È un richiamo naturale a un immaginario che attraversa Peter Gabriel, certe derive dei Genesis, ma anche l’approccio rarefatto e sperimentale dei Velvet Underground. E questa vena art-rock torna in modo netto anche in “Just Two Girls”, uno dei brani più importanti del disco: un'ode sull’amicizia femminile, sì, ma soprattutto un manifesto di come si possa fare rock con arrangiamenti ricchissimi, strumenti diversi, suoni puliti, impeccabili e vellutati, rinunciando senza rimpianti al fragore dei power-chord distorti. È proprio qui che i Wolf Alice sembrano prendere il meglio del soft rock anni ’70 e mescolarlo a una sensibilità narrativa moderna, elettronica, divertente.


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