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Wet Leg e chitarre “sbagliate”: quando l’indie rock ruba l’estetica al metal

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Author image Gianni Rojatti

29 novembre 2025 alle ore 22:41, agg. alle 13:54

Le Wet Leg scuotono il look della chitarra indie usando strumenti metal anni ’80. Un linguaggio creativo nuovo, un corto circuito che vivacizza la scena rock

Le Wet Leg non sono solo una delle band indie rock più interessanti del momento: sono la fotografia più nitida di una tendenza che attraversa il rock indie e alternative contemporaneo, quella di usare strumenti “sbagliati” per suonare la propria musica.

Chitarre nate per il metal, l’hard rock e il virtuosismo, dopo decenni in cui sono state relegate in soffitta perché considerate pacchiane, eccessive o fuori tempo, oggi finiscono nelle mani di musicisti indie, pop e alternative, che le usano con piglio creativo e un pizzico di irriverenza per costruirsi un’estetica e un suono nuovi e personali.

Chitarre sbagliate

Le Wet Leg sono una delle band indie rock più stilose e interessanti del momento. Non soltanto perché scrivono canzoni che funzionano, ma per il modo con cui costruiscono un immaginario coerente e riconoscibile attorno alla musica: presenza scenica magnetica, ricerca estetica costante, suono che mescola chitarre nervose (con distorsioni modernissime ed esagerate) e una produzione sempre in bilico tra il recupero di sapori vintage e la contemporaneità. Dentro alle loro canzoni convivono punk, indie e pop obliquo dei primi anni Duemila, ma anche una cura sonora che parla apertamente il linguaggio del presente. La chitarra nelle Wet Leg è la voce principale del loro rock, ma è comunque una voce dentro un’orchestra, un chitarrismo che vive di architetture e arrangiamenti, non di acrobazie. È indie rock allo stato puro: idee prima di tutto, intenzione prima della tecnica, interazione prima del virtuosismo. E proprio per questo la loro scelta di strumenti è una delle cose più sorprendenti e divertenti di tutta la loro narrazione. Perché le Wet Leg fanno una cosa apparentemente controintuitiva: suonano chitarre metal anni Ottanta, strumenti nati nell’epoca della massima esasperazione estetica e tecnica della sei corde: forme aggressive, colori improbabili, hardware dorato, tastiere decorate come fossero costumi di scena. Chitarre che negli anni Novanta e Duemila erano diventate quasi imbarazzanti, perché associate a un passato considerato eccessivo. Troppo appariscenti per il minimalismo indie, troppo legate al virtuosismo per una musica che rivendicava semplicità. Infatti, dal grunge in poi, il grande rock “da classifica” ha fatto dimenticare queste chitarre. Basti pensare ai Nirvana e ai Pearl Jam, ai Foo Fighters, ai Radiohead, a Jeff Buckley o ai Red Hot Chili Peppers, ai Coldplay, agli Oasis o ai Green Day: qualunque grande rock band degli ultimi trent’anni ha suonato le stesse chitarre del rock degli anni ’60 e ’70: Stratocaster, Telecaster, Les Paul, semiacustiche  elette a modello sonoro, estetico e culturale. Le chitarre degli anni Ottanta, al contrario, sono state quasi cancellate dall’immaginario mainstream perché considerate legate a un’epoca finita: troppo appariscenti, troppo high-tech, troppo “metallare”. Tante giovani band, invece, riprendono a usarle senza soggezione, con fantasia. Per questo tornano a funzionare. Mettersi al collo una chitarra metal oggi è come guidare KITT, la macchina del leggendario telefilm Supercar, per andare a fare la spesa: non lo fai per sfruttarne le prestazioni fantascientifiche, lo fai perché è talmente assurda da diventare irresistibile. È un gesto ironico, liberatorio, creativo.


Come i metallari

La cantante e chitarrista Rhian Teasdale oggi suona una B.C. Rich Mockingbird in acrilico: uno dei marchi più iconici del metal estremo, portato dentro un contesto indie con naturalezza disarmante.
 Per capire il cortocircuito basta citare qualche nome di appassionato utilizzatore di queste chitarre: Kerry King è il chitarrista degli Slayer, una delle band più feroci e radicali della storia del metal; Dave Mustaine ha fondato i Megadeth dopo i Metallica, lanciando il thrash metal, lo stile più aggressivo e tecnico degli anni Ottanta; Slash, nel video di “You Could Be Mine”, brano che lanciava l’era USE YOUR ILLUSION dei Guns N’ Roses, imbracciava una B.C. Rich rossa in quello che è sempre stato uno dei momenti più metal della sua carriera.
 E se vogliamo spingerci oltre, basta citare Michael Angelo Batio, simbolo del virtuosismo circense anni Ottanta, che nel suo primo metodo didattico in VHS — un must per fanatici, studiato persino da nomi come Tom Morello, John Petrucci, Dimebag Darrell o Mark Tremonti — sfoggiava proprio una B.C. Rich Mockingbird. Questo basta a inquadrare lo scenario originale per cui queste chitarre erano pensate, lontano galassie da quello delle Wet Leg. A rendere la cosa ancora più sorprendente, poi, il fatto che Rhian Teasdale abbia imparato a suonare la chitarra quando già esistevano le Wet Leg, mentre il progetto stava prendendo forma. La chitarrista solista Hester Chambers racconta che Rhian scriveva al pianoforte, poi ha deciso di passare alla sei corde e si è buttata, usando la chitarra come strumento a cui affidare il suo songwriting. E poi c’è Hester, che ha fatto una scelta ancora più teatrale: si è messa al collo una chitarra Kramer Jersey Star, il modello signature di Richie Sambora dei Bon Jovi. Una chitarra che rappresenta in modo quasi caricaturale lo spirito degli anni Ottanta: stelle sulla tastiera, hardware dorato, tre humbucker, paletta appuntita, Floyd Rose (la famosa “leva” sul ponte della chitarra che permette di far ondeggiare e piegare le note, producendo quelle diavolerie sonore alla Van Halen, Steve Vai, Dimebag Darrell… mantenendo però l’accordatura stabile).
 Lei stessa racconta che all’inizio suonarla le faceva paura, aveva la sensazione che quella chitarra non fosse “per lei”. E invece oggi dice di suonarla con passione, soddisfazione e creatività.


Anche Turnstile, Boygenius e Fontaines DC

Ma le Wet Leg non sono le sole a sfoggiare chitarre così. 
I Turnstile partono dall’hardcore ma guardano al pop e agli anni Ottanta e sul palco suonano spesso chitarre Jackson, storicamente il marchio simbolo del thrash metal: le chitarre dei Metallica, dei Megadeth, degli Anthrax…
E nello stesso filone entra anche Phoebe Bridgers, cantautrice e membro della super-band Boygenius, che imbraccia - anche lei - sul palco una B.C. Rich rossa in un contesto di pop rock onirico, delicato, intimo, completamente lontano dall’immaginario metal. E se serve un esempio che dimostri che non è solo una questione di look, basta guardare ai Fontaines D.C. Il loro chitarrista Carlos O’Connell suona il modello signature di Stratocaster dedicato a Rory Gallagher, un’icona del blues e del rock più viscerale, lontanissima dal post-punk scuro e urbano dei Fontaines. Eppure proprio lì sta il punto: non importa da dove nasce una chitarra, importa cosa ci fai oggi. Se ti piace il look, se ti ci trovi bene, se quella chitarra ti ispira, allora è la chitarra giusta. Poi, per chiudere è doveroso citare i due precursori di questa tendenza: 
John Mayer, uno dei cantautori più importanti della musica americana degli ultimi vent’anni, è salito sul palco con una Jackson rosa shocking: una chitarra iper-metal usata per suonare pop e blues.
 Adam Levine, frontman dei Maroon 5, ha imbracciato sul palco una Ibanez JEM, la chitarra signature di Steve Vai, rosa fosforescente con segnatasti a forma di piramide, fluorescenti pure quelli. Ovviamente non per suonare metal o shred, ma per attirare l’attenzione con uno strumento visivamente così esuberante. Le Wet Leg quindi, stanno raccontando esattamente questo: la chitarra non è più una bandiera di appartenenza esclusiva a un genere. Puoi suonare indie con una B.C. Rich; puoi cantare pop su una Kramer; puoi usare una Stratocaster blues in una band post-punk; L’importante non è da dove viene lo strumento: è dove lo stai portando tu oggi.




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