Van Halen: tre album che raccontano il genio di Eddie
05 ottobre 2025 alle ore 22:23, agg. alle 12:06
Dal debutto esplosivo di VAN HALEN a 1984 fino a F.U.C.K.: tre album che mostrano tutta la potenza, l’ironia e la genialità di Eddie Van Halen.
Il 6 ottobre 2020 è scomparso Eddie Van Halen, chitarrista considerato – assieme a Jimi Hendrix – il più influente, personale e innovativo della storia del rock. Con i Van Halen ha ridisegnato il linguaggio della chitarra elettrica e plasmato una delle band più potenti dell’hard rock. Eppure, nonostante il successo planetario e l’autorevolezza musicale, la band è rimasta spesso intrappolata nell’immagine frivola e colorata degli anni ’80: look sgargianti, videoclip iper pop, un’estetica che con l’avvento del grunge è sembrata improvvisamente datata e persino penalizzante.
Allo stesso modo, la bravura smisurata di Eddie, il suo virtuosismo acrobatico, per alcuni ha rappresentato un ostacolo: troppa tecnica, troppa velocità, al punto da oscurare la forza del songwriting e la solidità della band. Per questo proponiamo una guida all’ascolto di tre album fondamentali: il debutto VAN HALEN (1978), esplosione rivoluzionaria; 1984, il capolavoro che unisce pop e hard rock; e FOR UNLAWFUL CARNAL KNOWLEDGE (1991), che traghetta i Van Halen negli anni ’90 con rinnovata maturità.
VAN HALEN (1978)
Non è casuale che l’esordio omonimo dei Van Halen arrivi praticamente in contemporanea all’esplosione del punk (al suo interno c’è persino una traccia intitolata “Atomic Punk!”). I Van Halen di quel mondo condividono l’urgenza espressiva, che però non è rabbia o protesta ma puro furore gioioso: l’infoio di suonare al massimo dell’energia e del volume un rock come non si era mai sentito. Un rock trainato da una chitarra magica, impossibile, che trita e ricombina il meglio che fino ad allora era stato fatto e pensato su una sei corde: Eric Clapton (il vero grande guitar hero di Eddie), Jimi Hendrix, Charlie Christian. Tutto suonato a velocità impossibili, con uno swing e un brio ritmico irresistibili. Eddie sfoggia il leggendario “brown sound”, ottenuto dalla sua chitarra autocostruita, la Frankenstrat, un ibrido che fonde elementi delle due chitarre elettriche più iconiche del rock, la Gibson Les Paul e la Fender Stratocaster. Una chitarra che Eddie spara nei suoi amplificatori Marshall modificati, spremuti e sovralimentati per ottenere un suono caldo, dinamico, ricco di sustain e ancora oggi inimitabile. Ne esce una distorsione perfetta, che emoziona per calore e articolazione, e che allora rese in un attimo obsolete tutte le distorsioni di chitarra fino ad allora ascoltate: da Page a Blackmore, non ce n’era più per nessuno. Soprattutto colpisce che Eddie, pur essendo un virtuoso e rivoluzionando il lessico della chitarra rock, non appesantisca mai le canzoni né le trasformi in pretesti per sfoggiare i suoi assoli mozzafiato: i riff che costruisce sul piano ritmico sono altrettanto stupefacenti, al servizio di brani che scorrono potenti, leggeri e divertenti. Le due chiavi del suo chitarrismo devastante arrivano dai suoi trascorsi: da batterista eredita un groove incredibile e uno swing naturale; da pianista sviluppa e porta all’estremo la tecnica del tapping, che consiste nel suonare le corde direttamente sulla tastiera con entrambe le mani, moltiplicando velocità e possibilità melodiche. Con “Eruption” questa tecnica diventa manifesto, ma è l’intero disco a segnare una rivoluzione. In VAN HALEN I c’è rock, funk, blues, punk e già la furia del metal che di lì a poco esploderà, suonato nudo, crudo, diretto, senza trucchi né artifici di produzione. Questo disco non è solo l’esordio di una band tra le più rilevanti del rock: è un nuovo inizio per la chitarra elettrica, destinato a influenzare generazioni di band e chitarristi, dai Metallica ai Guns N’ Roses fino a Nuno Bettencourt, Paul Gilbert e Dimebag Darrell, tutti devoti a Eddie.
1984 (1984)
È il capolavoro dei Van Halen. Un disco che potrebbe essere considerato tale anche senza “Jump” — brano che, per assurdo, pur avendo consacrato la band a livello planetario ne ha condizionato la percezione, facendo pensare a un’anima frivola, pop e commerciale. In realtà 1984 è un lavoro di enorme raffinatezza, in cui il suono della chitarra di Eddie passa da perfetto a divino: più scolpito, elegante, leggero, spogliato degli eccessi tracotanti della distorsione degli esordi. È proprio questa essenzialità a rendere ancora più destabilizzante percepire, con tanta nitidezza, sia le sue acrobazie da virtuoso sia la grazia, la dinamica e l’eleganza di arrangiamenti, arpeggi e ritmiche. Brani come “Panama” sono manifesti di hard rock perfetto, sospesi tra tecnica, songwriting, ruffianeria e potenza sonora. Ma è con “Hot for Teacher” che la band tocca una delle sue vette assolute: la coesione virtuosistica tra Eddie e Alex Van Halen è stupefacente. La galoppata di doppia cassa di Alex viene raddoppiata da una valanga di note in tapping di Eddie, in un’apertura che incrocia metal, progressive e funambolismo tecnico ma mantiene un groove micidiale, irresistibile, fino a sfociare in uno shuffle blues da capogiro. Un pezzo che sintetizza tutto ciò che i Van Halen erano in grado di mettere insieme: energia, spettacolo, precisione e ironia. La produzione, calibrata per l’era MTV e per i grandi palchi, riveste le composizioni di una patina pop anni ’80 che, lungi dal banalizzarle, le rende ancora più affascinanti e accessibili. In 1984 il contrasto tra i sintetizzatori Oberheim e la chitarra di Eddie diventa un dialogo geniale: la band conquista il mainstream senza rinunciare alla complessità musicale. Questo album rimane il punto in cui virtuosismo e immediatezza trovano un equilibrio perfetto. Un brano su tutti per bearsi di suono, groove e scrittura è “Drop Dead Legs”: quello che Eddie suona nella coda del pezzo è semplicemente irreale.
FOR UNLAWFUL CARNAL KNOWLEDGE (1991)
Con F.U.C.K. i Van Halen entrano negli anni ’90 con Sammy Hagar alla voce e firmano quello che molti considerano il loro disco migliore dell’“era Hagar”. È irriverente parlare di grunge in relazione ai Van Halen, eppure il trend del periodo si traduce qui in un approccio più verace: la produzione, il sound e il songwriting si fanno più tradizionali, concreti, senza acrobazie di chitarra e batteria tra i fratelli. Meno svolazzamenti strumentali, più coesione nei pezzi e negli arrangiamenti. Non è un suono cupo, perché i Van Halen restano i “cazzoni” di sempre: basta pensare a “Poundcake”, che apre il disco con la chitarra di Eddie suonata con un trapano. La maturità però si sente: c’è un approccio più risolto, solido, che esalta la band come macchina da canzoni prima ancora che per riff, groove e assoli strappabudella. Eddie ha una nuova chitarra, da lui stesso disegnata e prodotta dalla Music Man: tira fuori un suono potentissimo che sorprende per chiarezza e impatto ma che — sì, forse complice il grunge e il periodo storico — torna a essere più feroce, distorto, cattivo. La produzione dell’album è scarna ma superlativa: uno di quei dischi che più alzi il volume e più sembra suonare meglio, come se i Van Halen ti stessero suonando in salotto tra le casse dello stereo. In confronto al precedente 5150 - che pur aveva portato la band in vetta alle classifiche ma con un sound troppo processato, pop e sintetico, forse invecchiato male - F.U.C.K. regge ancora alla grande. Premiato con un Grammy e trainato da brani come “Right Now”, diventato inno generazionale anche grazie al videoclip cult su MTV.
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