The Who e il batterista preso dal pubblico
20 novembre 2025 alle ore 11:26, agg. alle 11:43
Il 20 novembre 1973 Keith Moon collassò dietro la batteria, spingendo gli Who a continuare lo show con un giovane batterista reclutato tra i gli spettatori
Nel 1973 gli Who erano reduci dall’impatto gigantesco di Quadrophenia, un’opera ambiziosa che aveva consolidato la fama del gruppo come una delle band più potenti e creative del decennio. Ma mentre la musica parlava con forza assoluta, la tenuta psicofisica del gruppo era tutt’altra storia.
Keith Moon, fulcro ritmico e detonatore emotivo della band, viveva da anni in un equilibrio instabile. Il suo stile inconfondibile—un drumming torrenziale, caotico e imprevedibile quanto geniale—era alimentato da una vita di eccessi, abuso di alcol e farmaci, e notti che sembravano non finire mai.
Pete Townshend e il resto del gruppo lo sostenevano come potevano, ma sapevano bene che ogni concerto poteva trasformarsi in un’incognita.
Quando il tour americano del ’73 portò gli Who in California, la pressione si fece evidente. Quadrophenia era complesso da eseguire, e Moon era particolarmente provato.
Nonostante questo, la serata del 20 novembre al Cow Palace di Daly City sembrava iniziare come tante altre: un’arena gremita, un pubblico in stato di adorazione e una band determinata a dimostrare ancora una volta perché erano considerati tra i migliori performer live del mondo.
Il concerto al Cow Palace: il collasso di Keith Moon e l’incredibile sostituzione
La prima metà del concerto filò liscia solo all’apparenza. Moon era già visibilmente debilitato, rallentato, meno reattivo del solito.
Aveva assunto una dose eccessiva di tranquillanti, pare fenobarbital, mescolati a una quantità incerta di alcol, una combinazione che anche per lui risultava pesante.
Quando la band attaccò “Won’t Get Fooled Again”, la situazione degenerò. Moon perse temporaneamente il controllo, rallentò il tempo, poi collassò direttamente sulla batteria.
Fu portato dietro le quinte, rianimato con acqua fredda, frullati e sale, e spinto a rientrare sul palco. Con un’ostinazione quasi autodistruttiva, Moon tentò di suonare ancora, ma durante “Magic Bus” crollò definitivamente.
Questa volta si trattò di una vera perdita di sensi, un blackout completo.
Gli Who si fermarono, imbarazzati e furiosi, ma non pronti a lasciare il pubblico senza un finale
Qualcuno sa suonare la batteria?
Fu allora che Roger Daltrey e Pete Townshend improvvisarono un’idea tanto assurda quanto storica: cercare un batterista tra il pubblico. Townshend gridò al microfono: “Can anybody play the drums?” , sperando di trovare qualcuno in grado di suonare la batteria e permettere agli Who di portare a termine lo show.
Tra la folla si fece avanti Scott Halpin, un diciannovenne che aveva suonato in alcune band locali della zona. Halpin fu scortato sul palco incredulo, gli venne dato un drink “per calmare i nervi” e fu messo dietro a una batteria che fino a pochi minuti prima era stata demolita—letteralmente e metaforicamente—da Keith Moon.
La band attaccò con Halpin tre brani: “Smokestack Lightning” seguito da una jam e infine “Naked Eye”. Il giovane batterista si dimostrò all’altezza della situazione, mantenendo un tempo solido e soprattutto permettendo agli Who di chiudere il concerto con dignità.
Al termine, Halpin ricevette una standing ovation e una giacca degli Who come ringraziamento, mentre Moon era ancora dietro le quinte, assistito dallo staff medico.
Dopo il concerto e gli altri episodi di Moon a pezzi
Terminato il live, la band tornò nel backstage oscillando tra preoccupazione e frustrazione. Per Townshend non era più solo un episodio imprevedibile: era un segnale sempre più forte che Moon non riusciva più a sostenere i ritmi di una tournée intensa. Nel dopo concerto si discussero le condizioni del batterista e la necessità di proteggerlo da sé stesso, ma Moon stesso minimizzò la situazione, come spesso accadeva. Le conseguenze immediate furono poche: niente cancellazioni, nessuna dichiarazione ufficiale. Gli Who continuarono, come sempre, a muoversi su quella linea sottile tra caos e genialità.
Il Cow Palace, però, lasciò un segno duraturo. Per il pubblico fu un episodio leggendario, raccontato per anni come il concerto in cui un fan salì sul palco e salvò lo show.
Per gli Who fu un campanello d’allarme difficile da ignorare, un simbolo della vulnerabilità di Moon e della traiettoria discendente in cui si trovava immerso.
Il collasso del 20 novembre 1973 non fu purtroppo un caso isolato nella carriera di Moon. Già negli anni precedenti si erano verificati episodi preoccupanti: svenimenti improvvisi, crolli dopo serate particolarmente pesanti, momenti in cui sul palco sembrava andare in automatico, guidato più dall’istinto che dalla lucidità.
Durante il tour del 1972, per esempio, era stato necessario interrompere alcuni show perché Moon non riusciva a mantenere il ritmo. C’erano state anche serate in cui il batterista aveva perso i sensi in hotel poche ore prima del concerto, per poi essere rimesso in piedi grazie a cocktail di farmaci e caffè.