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Sirius, come la strumentale di Alan Parsons diventò sinonimo di Bulls

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Author image Gianluigi Riccardo

19 dicembre 2025 alle ore 13:21, agg. alle 13:51

Quando i Chicago Bulls di Michael Jordan dominavano il mondo del basket erano accompagnati in campo da una hit inaspettata: Sirius di Alan Parsons

Negli anni ‘80 e ‘90, due mondi apparentemente distanti – la sperimentazione sonora della musica rock progressiva e il basket professionistico americano – si incontrarono nel cuore pulsante delle arene NBA.

Questo è il racconto di come Alan Parsons, ingegnere del suono e compositore visionario, si sia ritrovato con la sua musica nel centro del mito dei Chicago Bulls di Michael Jordan. Una storia di suoni, vittorie e iconografie culturali che supera la semplice colonna sonora per diventare simbolo di un’epoca.

Chi è Alan Parsons: l’architetto del suono

Alan Parsons non è un musicista qualunque. Nato nel 1948 in Inghilterra, la sua carriera decolla dietro le quinte di alcuni dei capolavori della musica moderna.

In giovanissima età lavora come ingegnere del suono per The Beatles, contribuendo all’incisione di Abbey Road e Let It Be.

Successivamente, diventa figura centrale nel progetto The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd – uno degli album più venduti e influenti di tutti i tempi.

Ma è con il suo progetto personale, The Alan Parsons Project, che Parsons esplora orizzonti sonori ambiziosi, tra rock progressivo, elettronica e teatralità musicale.

Con album come Eye in the Sky (1982), Parsons e il suo gruppo affermano un linguaggio musicale sintetico, epico, perfetto per evocare un senso di grandezza. È qui che nasce una traccia destinata a un destino straordinario: “Sirius”.

 Il contesto degli anni d’oro dei Bulls

Allo stesso tempo, dall’altra parte dell’oceano, una dinastia stava prendendo forma. I Chicago Bulls, franchigia NBA con una storia fino ad allora altalenante, stavano per entrare nell’Olimpo dello sport grazie all’ascesa di Michael Jordan.

Draftato nel 1984, Jordan rapidamente diventa il volto della squadra e, per molti, il simbolo di una nuova era del basket.

Durante gli anni ’80 e ’90 la NBA vive un boom di popolarità, con stelle globali, una copertura mediatica senza precedenti e un pubblico internazionale sempre più coinvolto.

I Bulls, con Jordan, Scottie Pippen e l’allenatore Phil Jackson, costruiscono una dinastia che dominerà la lega: sei titoli NBA in otto anni (1991–1993, 1996–1998), un’impresa che rimane nella leggenda dello sport.

Ma oltre alle statistiche e alle vittorie in campo, c’è un elemento meno raccontato che accompagna quel viaggio epico: la musica che entra nelle arene e nella mente di milioni di tifosi.

Quando “Sirius” diventa colonna sonora della leggenda

Il collegamento tra Alan Parsons e i Chicago Bulls si materializza in modo semplice e potente: nella scelta di usare “Sirius” come musica di introduzione per le formazioni dei Bulls negli anni ’90. La traccia, strumentale, ricca di tensione e costruita su un crescendo elettronico, diventa l’accompagnamento perfetto per l’ingresso in campo dei campioni.

Immaginate: le luci si abbassano nella United Center di Chicago, il pubblico trattiene il fiato, un solo sintetizzatore inizia a pulsare, e poi… boom.

Le note di “Sirius” esplodono mentre i giocatori attraversano il tunnel verso il parquet. È un momento che diventa rituale, icona visiva e sonora di tutto ciò che quei Bulls rappresentano.

L’anello di congiunzione tra la musica di Alan Parsons e la spettacolarizzazione delle partite dei Chicago Bulls fu Tommy Edwards — un disc jockey e presentatore radio locale della stazione WLS di Chicago che all’epoca era anche il PA announcer (annunciatore ufficiale dei giocatori) dei Bulls.

La storia, raccontata da Edwards stesso in più interviste, nasce in modo del tutto fortuito. Nel 1984, poco dopo la scelta di Michael Jordan con il terzo pick del draft, Edwards stava seduto con sua moglie in un cinema locale — il Biograph Theater di Chicago. Mentre aspettava l’inizio del film, sentì una traccia strumentale in sottofondo: era “Sirius” di The Alan Parsons Project.



Il momento di entrare in guerra

Il giorno dopo, Edwards comprò il vinile di Eye in the Sky, mise sul piatto Sirius e iniziò a provare a leggere l’elenco dei giocatori sopra quel sound.

La combinazione di voce, ritmo crescente e tensione sonora lo convinse istantaneamente che fosse la scelta giusta per un team in crescita come i Bulls.

Prima di Sirius, Edwards aveva già sperimentato altri brani — ad esempio “Thriller” di Michael Jackson o il tema di Miami Vice — ma nessuno aveva avuto l’impatto emotivo sperato. Sirius, invece, con la sua costruzione stratificata e la dinamica crescente, creava una suspense naturale perfetta per l’entrata dei giocatori.

In un’intervista, un ex dirigente dei Bulls rifletteva:

“Quando sentivamo Sirius in palestra, capivamo che era il momento di entrare in guerra. Era più di una canzone: era un segnale, un rito di passaggio.”

Anche Parsons stesso, in più occasioni, ha espresso sorpresa e gratitudine per l’uso della sua musica nel mondo dello sport, sottolineando come Sirius abbia trovato una vita propria al di fuori degli studi di registrazione.

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