SANDINISTA!: la storia dell’album monumentale dei Clash
12 dicembre 2025 alle ore 11:05, agg. alle 14:59
Un viaggio dentro SANDINISTA!, triplo album con cui i Clash superano il punk e abbracciano contaminazione e libertà sonora, aprendo nuove strade al rock anni 80
Pubblicato il 12 dicembre 1980, SANDINISTA! è il disco più ambizioso e sfuggente dei Clash: un triplo album che chiude idealmente il primo capitolo della loro carriera e ne apre uno completamente nuovo, mettendo in discussione identità, linguaggi e confini del rock.
Ripercorrendo il cammino che porta dal punk degli esordi a questo lavoro smisurato, raccontiamo SANDINISTA! come il risultato di una band capace di assorbire fermenti culturali, tensioni sociali e suggestioni musicali dell’inizio degli anni Ottanta, riscrivendoli in musica senza barriere stilistiche. Una guida all’ascolto per collocare il disco al centro della discografia dei Clash e comprenderne davvero la portata.
La partenza dal punk
SANDINISTA! dei Clash è un album monumentale, considerato uno dei lavori più importanti della storia del rock. Lo è innanzitutto per le dimensioni: un triplo album estremamente variegato ed eclettico, in cui la ricchezza dei generi musicali attraversati diventa ancora più significativa se si considera che a compiere questo viaggio sono proprio i Clash. I Clash, ovvero una delle band di quel triunvirato punk che con Ramones e Sex Pistols aveva innescato quella rivoluzione musicale. Una rivoluzione che, se osservata dal punto di vista strettamente musicale e tralasciando le letture del punk come fenomeno culturale o politico, nasce da un’esigenza molto chiara: riportare semplicità e immediatezza nel linguaggio del rock. Il punk prende forma in un momento storico in cui il rock dominante è sempre più complesso, tecnico e raffinato. Progressive rock e hard rock spingono verso produzioni molto curate, strutture articolate, enorme spazio alla perizia strumentale. È una stagione che genera musica sublime — basti pensare a Queen, Pink Floyd, Eagles, Genesis o Led Zeppelin — ma che allo stesso tempo allontana il rock da una dimensione più diretta, istintiva, immediata. In questo contesto, Sex Pistols, Ramones e Clash propongono un linguaggio opposto: ritmi serrati, velocità costante, assenza di stacchi e cambi di struttura, canzoni ridotte all’osso, sostanzialmente basate su strofa e ritornello. Nessuno spazio per l’assolo, chitarre tendenzialmente monocolore e distorte, testi urlati, velocità e volume come unica dinamica concepibile. Un suono che, nel 1977 — mentre band come Eagles, Queen, Kansas e Fleetwood Mac pubblicano dischi sofisticati e levigati — può apparire involuto o primitivo, ma che in realtà rappresenta una forma di rottura e di rinnovamento. È proprio per questo che stupisce osservare come, nel giro di soli quattro dischi, una band che parte da queste coordinate arrivi a realizzare un’opera musicale come SANDINISTA! tra le più variegate in assoluto.
Il viaggio dei Clash
Per capire, o meglio, per lasciarsi stupire davvero fino in fondo da SANDINISTA!, è necessario ripercorrere rapidamente la discografia precedente dei Clash. I Clash debuttano nel 1977, nel pieno della rivoluzione punk, e THE CLASH è a tutti gli effetti uno dei dischi che contribuiscono ad accenderla. È un album che risponde pienamente alle coordinate punk, ma che presenta già elementi distintivi. Le melodie vocali, pur urlate e pronunciate con l’aggressività di un proclama politico, sono estremamente efficaci e capaci di dialogare con il pop. Gli intrecci di chitarra di Joe Strummer e Mick Jones sono essenziali, quasi rozzi se confrontati con le orchestrazioni dell’hard rock o del progressive, ma ben arrangiati e funzionali. Quella semplicità, rispetto ai giganti tecnici dell’epoca, è già una forma di modernità. GIVE ’EM ENOUGH ROPE (1978), il secondo album, mantiene salde queste coordinate, ma lascia intravedere una scrittura più ampia. Brani come “All The Young Punks” e soprattutto “Stay Free” mostrano quanto i Clash sappiano essere melodici e quanto bene sappiano scrivere pop, quando decidono di farlo. Nel 1979 arriva LONDON CALLING, il disco che segna una svolta decisiva. Qui i Clash si emancipano dal punk e abbracciano il rock in una accezione più ampia: un linguaggio attraversato da blues, rockabilly, suggestioni jazz e soprattutto dal reggae, che diventa una delle contaminazioni centrali della band. In questo percorso, Clash e Police sono le due realtà che, all’interno del mondo punk, esplorano più a fondo questa apertura. LONDON CALLING rappresenta la piena fioritura di questo viaggio, ma mantiene ancora un’identità precisa: il rock resta il DNA principale della band, arricchito e colorato da altri stili.
La rivoluzione di SANDINISTA!
Con SANDINISTA! accade qualcosa di diverso. A questo punto sappiamo già che i Clash sono una band punk e soprattutto rock, ma ascoltando il disco questa identità non risulta più così definita. I Clash stanno semplicemente facendo musica. Quella che allora si sarebbe chiamata world music: una musica contaminata da elementi etnici, culturali e stilistici provenienti da ogni luogo e da ogni genere. Su SANDINISTA! non c’è un genere predominante. Gli ingredienti di questo disco sono molti e ben riconoscibili: il crescente fascino per la world music, l’amore del chitarrista e cantante Mick Jones per il pop-rock e per l’hip hop di New York, l’immersione del basso di Paul Simonon nel reggae, e nel dub, le radici batteristiche di Topper Headon nel jazz e nel funk. Ma soprattutto c’è la propensione del leader Joe Strummer a usare la musica come un megafono per raccontare la propria visione della società e la propria denuncia politica e culturale, in un mondo che non condivideva e rispetto al quale sentiva forte la propria vocazione agli ideali della sinistra. In questo senso, Joe Strummer è autenticamente punk. Vuole usare la musica come strumento per lanciare un messaggio. Solo che, se nel punk delle origini quel messaggio passava attraverso il rumore, il chiasso, la provocazione sonora, all’inizio degli anni Ottanta Strummer ha capito che non basta farsi sentire: bisogna essere interessanti, variegati, catturare l’attenzione. E allora tutto diventa lecito: il rap, il dub, l’elettronica, il rock inteso come avanguardia pura. Qualsiasi linguaggio va bene, purché il messaggio arrivi. Oggi SANDINISTA! è considerato una pietra miliare della storia del rock, una delle fotografie più intense, vivide ed efficaci del genio e dell’eclettismo musicale dei Clash. Un’opera che restituisce in modo quasi definitivo la loro capacità di attraversare linguaggi diversi senza perdere una visione d’insieme. Ma al momento della sua uscita l’accoglienza fu tutt’altro che unanime. Una parte consistente del pubblico punk si sentì tradita. LONDON CALLING era stato già digerito con una certa difficoltà: un disco talmente bello, talmente solido e rock, da essere accettato anche da chi percepiva chiaramente l’allontanamento dei Clash dall’ortodossia punk. Con SANDINISTA!, però, per molti quella distanza diventò inaccettabile. L’apertura verso generi che, almeno sulla carta, apparivano più leggeri, più commerciali, o comunque estranei all’immaginario punk, venne vissuta come una rottura definitiva. Emblematica, in questo senso, una dichiarazione di Kurt Cobain, che raccontò di essere rimasto spiazzato dall’ascolto di SANDINISTA!. Pur sentendosi vicino alla scena punk e avendone assorbito molte coordinate nella formazione dei Nirvana, Cobain faticava a riconoscere in quel disco il suono dei Clash che lo avevano ispirato.
5 canzoni
Eppure SANDINISTA! resta un viaggio musicale di portata enorme. È una delle prime testimonianze di una band rock bianca che utilizza il rap, uno dei primi esempi di rock che dialoga apertamente con l’elettronica. Un disco che anticipa di decenni ciò che accadrà nel nu metal, nell’alternative e nel crossover, aprendo una strada alla contaminazione strutturale tra rock e black music. In questo senso, SANDINISTA! è un disco profondamente seminale. È un ascolto che merita tempo e attenzione: con un paio di cuffie gigantesche sprofondati in una poltrona, accompagnati da un drink, lasciandosi guidare dalla musica. Oppure durante un viaggio lunghissimo, ore di autostrada, dall’inizio alla fine, come una sorta di giro del mondo non in ottanta giorni, ma in tre vinili. Detto questo, per chi volesse avvicinarsi a SANDINISTA! per la prima volta, ci siamo presi la briga di selezionare cinque brani che possono funzionare come un primo assaggio. Cinque tracce che, ascoltate una dopo l’altra, restituiscono già un’idea chiara della varietà, delle tensioni e della libertà che attraversano questo disco.
“THE MAGNIFICENT SEVEN”
Brano d’apertura e passaggio storico fondamentale: è il primo esperimento riuscito di una band rock bianca che utilizza il rap, mettendo in dialogo culture e linguaggi fino ad allora separati. Ma alla modernità musicale si affianca una forte sostanza narrativa. Joe Strummer racconta la storia di un uomo che accetta una vita lavorativa soffocante e alienante non per realizzazione personale, ma per poter soddisfare i desideri della propria ragazza, ossessionata da mode, consumi e status symbol. Non lavora per vivere: vive per lavorare. Una feroce critica al consumismo e alla società dell’apparenza.
“IVAN MEETS G.I. JOE”
Un brano che affronta in modo visionario il tema della Guerra Fredda, immaginando l’incontro-scontro tra un soldato sovietico e uno americano sulla pista da ballo dello Studio 54, tempio della nightlife newyorkese. Musicalmente i Clash tritano e riassemblano i suoni più moderni dell’inizio degli anni Ottanta: disco music, rap, funk, reggae, suggestioni elettroniche e persino sonorità da videogame, allora in piena esplosione culturale. Un esempio perfetto della loro capacità di usare la creatività sonora come strumento di racconto politico e culturale.
“ONE MORE TIME / ONE MORE TIME DUB”
Scritta dai Clash insieme a Mikey Dread, cantante e produttore giamaicano, il brano compare su SANDINISTA! in due versioni: quella originale e la sua rilettura dub. Il testo rimanda alla vita nei ghetti neri, mentre sul piano musicale il pezzo rappresenta uno dei punti più alti della fusione tra rock, reggae e dub. Se i Clash, insieme ai Police, verranno ricordati per aver aperto questa strada, "One More Time" ne è probabilmente il manifesto più compiuto, un capolavoro di stile e di suono.
“POLICE ON MY BACK”
Brano del 1967 scritto da Eddy Grant e pubblicato dagli Equals, qui riletto dai Clash in chiave rock tesa e potente. È forse il momento più direttamente punk del disco, per esecuzione e attitudine, pur con una produzione più levigata. Le chitarre iniziali, che evocano le sirene della polizia, restano centrali, così come la voce solista di Mick Jones. Dietro un testo essenziale emerge con forza il tema del razzismo e della paura vissuta dalle persone di colore di fronte all’arbitrarietà delle forze dell’ordine.
“CHARLIE DON’T SURF”
È uno dei brani più intensi e stranianti di SANDINISTA! perché fotografa alla perfezione il momento creativo dei Clash, che in questa fase attingono a un canovaccio sonoro amplissimo e indefinito: reggae, funk, sensibilità pop, portamento rock convivono senza gerarchie. Nato da un’improvvisazione, il pezzo mantiene una freschezza e un’impalpabilità di struttura e arrangiamento che lo rendono pura espressione musicale. Ma soprattutto incarna i Clash come straordinaria spugna culturale, capaci di assorbire fermenti, tensioni e cambiamenti del mondo di inizio anni Ottanta e tradurli in musica. In questo caso l’ispirazione arriva dal cinema: "Apocalypse Now" del regista Francis Ford Coppola, racconto tragico della guerra in Vietnam, film che aveva profondamente ossessionato Joe Strummer e che diventa materia sonora e narrativa della canzone.