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REBEL YELL: Billy Idol tra punk, synth-pop e chitarre metal

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Author image Gianni Rojatti

09 novembre 2025 alle ore 15:31, agg. alle 11:16

REBEL YELL: l’incontro esplosivo tra il punk di Billy Idol, la visione synth-pop e dance di Keith Forsey e la creatività metal di Steve Stevens.

Pubblicato il 10 novembre 1983, REBEL YELL è il disco in cui Billy Idol completa la sua metamorfosi: dall’irriverenza punk dei Generation X a una sintesi nuova, dove energia, elettronica e visione produttiva pop convivono senza frizioni, frullati in un’estetica sonora anni ’80, che diventerà un riferimento di stile per tanto rock di quel decennio. Merito soprattutto del produttore artistico Keith Forsey, capace di superare ogni barriera stilistica e fondere punk, metal, dance e synth-pop in un’unica direzione sonora.

Al suo fianco, la chitarra camaleontica di Steve Stevens, che con tecnica, inventiva e texture quasi elettroniche diventa parte fondante del linguaggio del disco. Un viaggio che porta a brani-simbolo come “Rebel Yell”, “Eyes Without a Face”, “Blue Highway”, “Flesh for Fantasy”.

Una ricetta Punk  inedita

Riascoltare oggi REBEL YELL significa rientrare nel laboratorio sonoro più rappresentativo della carriera di Billy Idol. È il disco che compie la sintesi più convincente tra tre forze che, all’inizio degli anni Ottanta, stavano rimodellando il rock: l’aggressività e l’urgenza del punk, la freschezza sperimentale della new wave e la crescente ibridazione tra dance, synth-pop e produzione elettronica. Ma c’è un altro ingrediente musicale decisivo; perché in quella stessa stagione esplodeva un’altra corrente decisiva: il chitarrismo virtuoso di matrice metal che iniziava a dialogare con il pop rock. Erano gli anni di Eddie Van Halen, Randy Rhoads, Yngwie Malmsteen, Steve Vai; gli anni in cui ogni frontman cercava un chitarrista capace di spingere lo strumento in territori spettacolari ma funzionali alla canzone. Dentro REBEL YELL questa spinta ha un nome preciso: Steve Stevens, musicista di tecnica, personalità e immaginazione timbrica. Figura chiave, in grado di armonizzare in maniera musicale e convincente questo caleidoscopio di ingredienti stilistici è il produttore Keith Forsey. Batterista storico di Donna Summer e futuro nome essenziale delle colonne sonore più iconiche del decennio (Flashdance, Beverly Hills Cop, The Breakfast Club, Top Gun), Forsey aveva la lucidità di capire che punk, metal, dance, elettronica e synth-pop non erano mondi incompatibili. Se l’obiettivo era creare musica potente, immediata e fruibile, questi linguaggi potevano convivere, anzi potenziarsi. REBEL YELL nasce proprio da questa intuizione: questa visione produttiva diventa la chiave dell’identità sonora dell’album.


Le chitarre di Steve Stevens

Forsey trova un alleato ideale nella chitarra di Steve Stevens, che per versatilità smentisce qualsiasi etichetta. Alla solidità ritmica del chitarrista punk unisce le aperture orchestrali del suo background acustico, la fluidità e il virtuosismo del flamenco, una conoscenza armonica che gli permette di muoversi come un vero arrangiatore e la pronuncia esuberante e debordante da guitar hero metal degli anni 80. 
Una delle peculiarità più sorprendenti date dall’eclettismo della chitarra di Stevens è proprio questa: molte delle texture che sembrano synth sono in realtà create con la chitarra. Stevens costruisce arpeggi, tappeti, modulazioni e linee sospese che sostituiscono o affiancano le tastiere, mentre Forsey incastra tutto con un uso strategico della batteria elettronica — impiegata nella maggior parte dei brani — chiamando un batterista reale solo quando serviva impatto fisico, come nella title track. Dentro REBEL YELL ci sono momenti che raccontano questa alchimia in modo ancora più evidente. Il primo è l’intro della title track: uno dei riff più iconici degli anni Ottanta, studiato e imitato da generazioni di chitarristi. Eppure nasce da un’idea fingerstyle ispirata a Leo Kottke, figlia del background folk di Stevens. Una frase volutamente indipendente dal basso e intrecciata alla melodia vocale di Idol, quasi un frammento acustico/flamenco trasportato sul distorto. Per altro, nota di stile divertente, è scoprire da recenti dichiarazioni dello stesso Stevens che questo intro fu aggiunto alla fine, per evitare che i DJ radiofonici parlassero sopra l’ingresso immediato della voce.


"E' sceso Jimi!"

Il disco venne registrato agli Electric Lady Studios di Jimi Hendrix, e l’atmosfera del luogo pesò molto sul chitarrista. Stevens lo ha raccontato così: «Se non ti ispira lavorare nella casa che ha costruito Jimi Hendrix, hai un problema». Non a caso, quando una take usciva perfetta, in studio si diceva: «È sceso Jimi!». Registrare agli Electric Lady Studios aveva per Stevens un peso quasi rituale! Un episodio simbolico del clima di fervore creativo che animava la produzione di REBEL YELL è riferito alla registrazione dell’assolo del pezzo omonimo: il celebre “nitrito” di chitarra, un suono alieno ottenuto puntando una pistola laser giocattolo sui pickup. Un gesto semplice ma perfettamente coerente con lo spirito totalmente sperimentale e disinibito del disco. “Rebel Yell”, il singolo, potrebbe quasi trarre in inganno nella descrizione totale del disco: racchiude il DNA dell’album — l’incrocio tra punk, metal, synth-pop e new wave — ma non ne esaurisce la natura. L’anima più profonda del disco è infatti legata alla matrice dance e synth-pop che Forsey porta con decisione dentro il progetto, e che emerge con forza in  episodi chiave. “Eyes Without a Face” è il vertice melodico: la voce di Idol si fa morbida, il basso pulsa sinuoso sotto synth gelidi e modernissimi che  ricamano linee invadenti e diventano un simbolo del decennio. Poi ci sono l'esplosione new wave di  “Blue Highway”“Flesh for Fantasy” che gioca con chitarra funk e batteria elettronica e “Catch My Fall” - ancora più strutturata - con il sax di Mars Williams e un intervento di Stevens che resta uno dei suoi assolo più riconoscibili.


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