Pump, la nuova vita degli Aerosmith
12 settembre 2025 alle ore 13:43, agg. alle 14:10
Nel settembre del 1989 gli Aerosmith pubblicavano "Pump", il disco che consacrò definitivamente il ritorno della band dopo la crisi
Nel settembre del 1989, gli Aerosmith pubblicano Pump, il decimo album in studio della loro carriera, un disco che più di ogni altro ha segnato il ritorno definitivo di una band sopravvissuta a eccessi, implosioni interne e alla sfida più ardua: reinventarsi nel cuore degli anni '80 senza perdere la propria anima.
Ma per capire l'importanza di Pump, bisogna prima tornare indietro, tra le ceneri di una band che per poco non si è distrutta, crollando rovinosamente sui propri eccessi e le proprie tensioni.
Alla metà degli anni ’80, gli Aerosmith erano considerati da molti una band finita. Dopo un decennio di successi, la formazione di Boston era implosa sotto il peso delle droghe, degli ego e delle tensioni.
Night in the Ruts (1979) e Rock in a Hard Place (1982) avevano mostrato una band allo sbando, orfana per un periodo di Joe Perry e Brad Whitford, i due chitarristi storici.
Il ritorno della line-up originale nel 1984 aveva riacceso qualche speranza, ma fu con Permanent Vacation (1987) che arrivò la vera svolta.
Prodotto da Bruce Fairbairn, già al lavoro con Bon Jovi e Loverboy, Permanent Vacation segnò l’inizio della collaborazione con il team di autori esterni formato da Desmond Child, Jim Vallance e altri, introdotti per dare al gruppo un suono più radiofonico e appetibile per l’era di MTV.
L’album ottenne un ottimo successo commerciale, ma fu Pump, due anni dopo, a consacrare gli Aerosmith come band rinata e pienamente al passo con i tempi.
Le registrazioni di Pump
Registrato a Vancouver nei Little Mountain Sound Studios, Pump è frutto di un processo di scrittura durato mesi, in cui la band si è chiusa in ritiro, vivendo sotto lo stesso tetto per ricostruire un rapporto creativo solido.
Non fu facile: le tensioni tra Steven Tyler e Joe Perry erano ancora presenti, ma vennero incanalate in una competizione sana e creativa. Il risultato fu un album crudo, potente, meno patinato del precedente, con arrangiamenti più complessi e testi più maturi.
Il lavoro di Bruce Fairbairn, ancora una volta alla produzione, fu cruciale. Pretese performance impeccabili da ogni membro, spingendo il gruppo a scavare più a fondo nella propria identità musicale.
Il team di autori esterni fu ridotto, privilegiando un sound più organico, meno artefatto. Le liriche si fecero più provocatorie, ironiche, a tratti spirituali: Tyler parlava di sesso, droga, riabilitazione e rinascita personale con una lucidità mai sentita prima.
"Volevamo che il disco suonasse vivo, non costruito a tavolino,” dichiarò Fairbairn in un’intervista del 1990.
Per ottenere quel suono aggressivo ma caldo, fu utilizzata una combinazione di amplificatori vintage e tecniche di microfonazione moderne, mentre le chitarre vennero registrate in stanze diverse per ottenere spazialità e separazione sonora.
Entusiasmo incontenibile e tecniche nuove
Le sessioni di registrazione di Pump, sono diventate celebri non solo per il risultato finale, ma anche per il clima creativo — a tratti teso, spesso esilarante — che si respirava nei Little Mountain Sound Studios di Vancouver. Steven Tyler e Joe Perry erano lucidi, sobri e iperattivi, determinati a spingersi oltre i limiti di Permanent Vacation
Uno degli aneddoti più famosi riguarda “Love in an Elevator”: il titolo nacque davvero da un episodio reale.
Tyler raccontò di essere stato in un ascensore con una ragazza e di aver fatto una battuta a sfondo sessuale.
Lei rise e disse: “That sounds like a great song title.” Il resto lo fece la penna vulcanica del frontman.
Durante le sessioni, Tyler era noto per scrivere testi ovunque, anche sui muri dello studio, in preda a lampi di creatività improvvisa.
Il produttore ingaggiò Bob Dowd come “studio organizer” per contenere l’entropia che regnava in sala: "Era come stare in una gabbia di matti, ma matti geniali", raccontò.
Dal punto di vista tecnico, Pump fu il primo album degli Aerosmith a utilizzare registrazioni digitali su nastro DASH, pur mantenendo il calore dell’analogico per molte delle tracce ritmiche.
Le batterie di Joey Kramer furono microfonate con grande attenzione alla dinamica, usando fino a 12 microfoni per catturare ogni sfumatura. Il mix finale, curato da Mike Fraser, cercò di bilanciare l’energia del live con la precisione in studio, dando vita a un suono compatto ma esplosivo, ancora oggi considerato uno dei migliori mix rock di fine anni '80.
I brani simbolo di Pump
Tra i pezzi che definiscono Pump, “Love in an Elevator” è il manifesto dell’irriverenza della band. Una cavalcata hard rock con un ritornello irresistibile, accompagnata da un videoclip iconico e onnipresente su MTV. Il brano raggiunse il numero 5 nella Billboard Hot 100 e divenne una delle hit più riconoscibili del gruppo.
“Janie’s Got a Gun”, invece, mostra un lato completamente diverso degli Aerosmith.
Un brano cupo, orchestrale, con un testo che affronta tematiche di abusi sessuali e vendetta. Una vera e propria denuncia sociale, che guadagnò rispetto critico e un Grammy Award nel 1991 come Best Rock Performance by a Duo or Group with Vocal. Fu anche uno dei primi esempi di mainstream rock affrontare temi così duri senza retorica.
Non da meno sono “The Other Side”, un soul-rock trascinante con fiati che richiamano la Motown, e “What It Takes”, ballata malinconica con uno dei ritornelli più intensi della carriera degli Aerosmith.
Aerosmith, sopravvissuti anche in classifica
Al suo debutto, Pump entrò direttamente al numero 5 della Billboard 200, vendendo oltre 7 milioni di copie negli Stati Uniti (più di 10 nel mondo). L’album generò quattro singoli di successo, tutti accompagnati da videoclip capaci di dominare le rotazioni televisive di MTV e influenzare una nuova generazione di musicisti.
Oltre al successo commerciale, Pump fu celebrato per la sua energia autentica, per aver riscoperto il sound grezzo delle origini pur restando moderno. Era un disco capace di parlare ai fan storici e ai teenager che scoprivano il rock grazie ai videoclip patinati degli anni '80. Il tour mondiale che seguì consacrò la band come una delle realtà live più potenti dell’epoca, capace di mettere in ombra anche le nuove leve del glam metal.
A livello tematico, Pump è un album che racconta l’esperienza umana con cinismo e lucidità. Il sesso è spesso presente, ma mai fine a sé stesso: è rappresentato come desiderio, ossessione, trasgressione e, talvolta, redenzione. I riferimenti alla droga sono meno celebrativi rispetto al passato e più riflessivi, specchio della sobrietà ritrovata dai membri della band, in particolare da Tyler e Perry, entrambi ormai sobri da anni.
Ma Pump è anche un disco di sopravvivenza. La band racconta la propria rinascita artistica come un viaggio catartico, un “pompaggio” di energia vitale che riafferma il loro ruolo nella storia del rock.
Oggi, Pump è considerato non solo uno dei migliori album degli Aerosmith, ma anche uno degli album rock più influenti del passaggio tra anni ’80 e ’90. Ha dimostrato che una band veterana può reinventarsi senza tradire le proprie radici, e che il rock’n’roll ha sempre qualcosa da dire, anche quando sembra sparito sotto i riflettori.