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Police: chiarezza sulla battaglia per le royalties tra Sting, Summers e Copeland

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Author image Gianni Rojatti

24 settembre 2025 alle ore 18:23, agg. alle 13:05

Royalties digitali e vecchie ruggini: facciamo chiarezza sulla causa tra Sting, Summers e Copeland e sul vero valore creativo dei Police.

Nell’ultimo mese ha mosso attenzione e scalpore la vicenda legale che vede il chitarrista Andy Summers e il batterista Stewart Copeland citare Sting in tribunale per le royalties legate allo sfruttamento digitale del catalogo dei Police. Una battaglia che riporta a galla vecchie tensioni interne e che ha già acceso il dibattito tra fan e addetti ai lavori.

Noi facciamo chiarezza: dal ruolo fondamentale di Summers e Copeland in brani come "Every Breath You Take", alle diverse letture degli accordi firmati negli anni, fino al nodo centrale dello streaming e alla vendita del catalogo di Sting. Una storia che va oltre i numeri e tocca il cuore stesso di cosa significhi “scrivere” una canzone.

Perfetto equilibrio a tre

I Police sono uno di quei rari casi in cui il successo sembra davvero l’espressione di un merito collettivo. Un equilibrio perfetto tra tre musicisti diversissimi, che hanno saputo fondere linguaggi e visioni fino a crearne uno nuovo. Certo, i brani che hanno fatto la storia – testi e linee vocali – portano la firma di Sting. Ma ridurre tutto al suo contributo significherebbe ignorare quanto la miscela tra i tre sia stata determinante. All’inizio, nessuno di loro sembrava avere in tasca la carta vincente. Andy Summers era un turnista di lungo corso, con solide radici jazz e classiche, già oltre i trent’anni e apparentemente fuori tempo massimo per imporsi nella scena giovanile. Sting arrivava dai Last Exit, band jazz-R&B che proponeva un suono patinato e barocco, lontanissimo dalla pronuncia rock che dominava la seconda metà dei ’70 e ancor più dalle vibrazioni del punk. Stewart Copeland, invece, proveniva addirittura dal progressive dei Curved Air, un genere che a metà decennio appariva già obsoleto. Fu proprio Copeland ad avere l’intuizione decisiva: turarsi il naso, cambiare pelle e agganciarsi all’energia punk che stava rifondando il rock, contaminandola con il reggae che cresceva nelle strade di Londra. A quel punto ognuno mise sul piatto la propria forza: il drumming rivoluzionario e visionario di Stewart, il songwriting micidiale, la presenza da sex symbol e la voce inconfondibile di Sting, la chitarra colta, minimale e avanguardista di Summers. Separati, probabilmente sarebbero rimasti promesse incompiute. Uniti, hanno costruito una delle avventure musicali più incandescenti e innovative della storia del rock. Ed è anche per questo che, guardando oggi alla diatriba legale sulle royalties, la sensazione è che proprio nel caso dei Police - forse - una ripartizione paritaria tra i tre avrebbe avuto più senso che altrove.


Royalties digitali e vecchie ruggini

La vicenda è più complessa di quanto qualcuno abbia liquidato riducendola a "Every Breath You Take". Certo, quel brano resta l’esempio lampante: uno dei maggiori successi non solo dei Police ma di tutta la storia del pop-rock, nato come una ballata piuttosto smorta che Sting aveva scritto con un occhio a "Stand By Me". Un pezzo che rischiava il cestino e che venne letteralmente salvato dall’arrangiamento sofisticato e ipnotico della chitarra di Andy Summers e dalla sensibilità ritmica - in questo caso minimale - di Stewart Copeland. È proprio in quella metamorfosi che si coglie il nodo della disputa: quanto contano davvero le parti strumentali nel decretare l’unicità di un brano? La questione, però, va oltre. Interessa infatti le royalties editoriali, terreno delicatissimo. Summers e Copeland rivendicano che, sin dalla nascita della band nel 1977, fosse stato stretto un patto verbale per dividere parte dei proventi, poi formalizzato negli anni ’80 e aggiornato più volte. Nella loro versione, queste intese riconoscevano un compenso anche a chi non firmava i brani, valorizzando l’apporto creativo che ha definito il suono dei Police. La questione è riemersa più volte: prima negli anni ’90, con accuse di pagamenti insufficienti, poi nel 2016, con un accordo che sembrava mettere fine alle polemiche fissando regole chiare per l’uso delle canzoni in film e programmi TV. Ma l’arrivo dello streaming ha riaperto tutto: Summers e Copeland sostengono di non aver ricevuto quanto spettava loro per lo sfruttamento digitale del catalogo. Il team legale di Sting ha risposto con fermezza: non solo sarebbero già stati compensati, ma addirittura potrebbero aver ricevuto più del dovuto. Secondo una lettura restrittiva dell’accordo del 2016, Sting non avrebbe alcun obbligo di dividere i proventi online. In controluce c’è anche la vendita del catalogo di Sting alla Universal Music Group nel 2022, un passaggio che ha acceso ulteriormente l’interesse economico attorno a queste dispute. Sting aveva infatti ceduto già cinque anni fa le edizioni, e proprio lì potrebbe essersi originato l’attuale problema: con le nuove disposizioni e i criteri introdotti da Universal Publishing, la modalità di ripartizione delle royalties e dei diritti connessi potrebbe aver modificato un equilibrio che, pur tra tensioni, resisteva fin dal 1977. Come detto, già allora era chiaro che Sting fosse il principale autore, e che i brani capaci di scalare le classifiche — da “Roxanne” a “Can’t Stand Losing You” — portassero la sua firma. Ma negli anni si era cercato di riconoscere anche a Summers e Copeland un merito concreto, premiando l’apporto determinante di chitarra e batteria nella costruzione del suono Police. La battaglia è ora in mano all’Alta Corte di Londra, ma oltre ai contratti e ai numeri mette in gioco una questione eterna: cosa significa davvero “scrivere” una canzone, e come si misura il peso di chi la rende un successo grazie a un apporto strumentale?


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