Paul McCartney si unisce alla protesta anti-AI
20 novembre 2025 alle ore 10:38, agg. alle 12:07
Una traccia (muta) di sir Paul McCartney si aggiunge al progetto Is This What We Want? Per protestare contro la posizione del governo UK in materia AI
Il ronzio di una bobina magnetica, una porta che si apre, dei passi, i rumori di uno studio di registrazione durante una session di lavoro. Nella battaglia d’Inghilterra contro l’AI la colonna sonora echeggia come un silenzio quasi totale, però sdegnatamente eloquente.
L’ultimo generale a scendere in campo contro l’invasione delle big tech dell’intelligenza artificiale nel terreno sacro e inviolabile del copyright - non adeguatamente protetto dal governo di Londra - è stato Paul McCartney. Che con un brano “muto” di 2 minuti e 45 secondi (più o meno come “With a little help from my friends”, è stato suggestivamente calcolato) si è unito all’album-manifesto di protesta “Is this what we want?”, in uscita nei prossimi giorni, nel quale più di mille artisti britannici hanno offerto un contributo simile a quello dell’ex Beatles: tra loro Annie Lennox, Kate Bush, Sam Fender, The Clash, Hans Zimmer, Tori Amos, Damon Albarn, Dan Smith, Jamiroquai, Yusuf/Cat Stevens, Imogen Heap.
La provocazione politica degli artisti inglesi
Performance puramente “concrete”, come nella musica contemporanea alla John Cage (il suo “4’33”” fece la storia del genere senza una sola nota per tutta la durata del brano). La desolazione del vuoto. Una provocazione politica, uno statement d’appartenenza per il nutrito battaglione di star che si sono calate in trincea (più quelle che hanno espresso sostegno esterno, vedi Elton John) per una guerra che, se le cose non cambieranno, si concluderà con la prevedibile sconfitta contro la nuova tirannia dei software robotici.
Non è solo una questione di vedersi garantiti i legittimi diritti della proprietà d’autore né un conflitto locale con in gioco le sorti del pop e rock anglosassone. Piuttosto, è una catastrofe globale annunciata: al mancato protezionismo della filiera da parte di Downing Street si aggiunge l’ostruzionismo della Casa Bianca: Trump è fermamente determinato a sostenere lo sviluppo dell’AI, da Google a Musk.
Come sia, a rischiare la carriera non sono certo le star consolidate: per un McCartney o una Lennox si troverà sempre posto in qualche slot di pubblicazione. E per tutti i decani che hanno ceduto a terzi il controllo del proprio repertorio non mancheranno investimenti da parte dei detentori dei diritti. La minaccia letale riguarda la next generation di musicisti, già affossati, sulle piattaforme, dai risibili compensi per gli streaming. A maggior ragione nel momento in cui Spotify decide di non remunerare i pezzi al di sotto dei mille ascolti.
D’altro canto, la stessa Spotify ha annunciato tutele più stringenti per i creatori “umani” di musica rispetto a quelli generati dall’AI. Ma il futuro, cupissimo, è già cominciato.
Il primo cantautore AI in classifica
Aldilà di migliaia di pseudo-cloni disincarnati di Nirvana, Led Zeppelin o Jimi Hendrix, il processo di sofisticazione dei programmi AI ha già partorito seducenti mostri: e se i Velvet Sundown si sono guadagnati già da mesi, a colpi di mega streaming, il favore degli appassionati dell’easy-rock para-West Coast, ecco il primo “cantautore” country senza carta d’identità salito al vertice delle classifiche country: Breaking Rust, con la voce di carta vetrata della sua “Walk my walk”, ha messo l’impalpabile cappello sul gradino più alto del podio.
Credibile, accattivante, ruvidamente in the mood. Chissenefrega se non è un musicista in carne ed ossa, dicono i suoi sviluppatori. Anzi, meglio, perché non farà bizze sul contratto né rivendicherà una libertà decisionale che non fa (ancora) parte della sua natura virtuale. Se poi volessimo organizzare un tour alla AI-star, basterà farlo accompagnare da una band di gregari, e al centro del palco il suo ologramma, per un 3D quasi perfetto.
Ci siamo: Paul, Annie ed Elton sparano romanticamente le loro cartucce contro l’aggressivo cybernemico, sapendo di avere tra le mani vecchie armi, dei fucilini a tappi.
Lode alla loro difesa dell’ultima ridotta, ma l’implacabile offensiva dell’Intelligenza Artificiale per il potere è destinata a sterminare la massima parte dei talenti emergenti.
Nel giro di pochissimo tempo, i mogul dell’AI avranno disegnato la silhouette di una nuova, più maneggevole e lucrosa industria del rock e del neopop.
Stupisce, semmai, il ritardo con gli altri fronti del conflitto. Su TikTok sono ormai 1,6 miliardi i contenuti “finti” ma del tutto verosimili, indistinguibili da quelli reali. Anche la musica è destinata, ben presto, a finire in un tecno-buco nero.