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Ozzy Osbourne, l'addio ad un ordinary man

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Author image Gianluigi Riccardo

22 luglio 2025 alle ore 22:38, agg. alle 00:46

Ozzy Osbourne è morto a 76 anni. Non solo padrino del metal, icona ma soprattutto uomo simbolo di fallimenti e lotte

Ozzy Osbourne è morto.

La notizia arriva così: secca, asciutta, come un fulmine a ciel sereno, uno scherzo che nessuno si aspettava e che nessuno - in fondo - pensava sarebbe mai potuto accadere davvero.

A vederlo lì sul suo trono per l'ultimo saluto ai suoi fan poco più di due settimane fa si pensava ad un uomo che nella vita le aveva viste tutte, chiaramente in difficoltà ma con una forza e uno slancio vitale tale da riuscire comunque a ruggire per il suo pubblico, con tutta la sofferenza del caso.

Una cosa talmente impensabile da cogliere impreparati e fa niente i 76 anni, gli eccessi di una vita, le malattie, il Parkinson. Tanto da far dubitare fosse vero ma, invece, pare proprio che quello di Villa Park sia stato l'ultimo inchino di una delle figure più importanti, amate e iconiche della storia del rock.

La conferma è arrivata da una nota stampa diffusa alle testate britanniche dalla famiglia Osbourne che ha specificato solo come Ozzy sia morto "circondato dall'amore" dei suoi cari

Gli stessi cari che a Birmingham hanno affollato il palco e il backstage di uno degli eventi più incredibili nella storia del metal, tutti corsi a salutare Ozzy sapendo che forse sarebbe stata l'ultima volta di vederlo sul palco, non certo al loro fianco.

La morte di Ozzy Osbourne e il senso di smarrimento

Ci sono personaggi che, quando se ne vanno, lasciano un senso di smarrimento, anche se in fondo tutti sapevano che prima o poi sarebbe successo.

A me, ad esempio, è successo con David Bowie. Ricordo esattamente l'attimo in cui appresi della scomparsa di una delle figure più iconiche di sempre e mio personale punto di riferimento. Ero a letto, appena sveglio e il telefono bombardato dalle notifiche. Incredulo.

Straniamento, dicevo. Quando si parla di icone, senza stare a scomodare la terminologia strettamente artistica, si parla di figure che intorno a loro godono di sacralità.

Figure che sappiamo benissimo essere umani ma per noi lo sono un po' meno, sono figure che entrano a far parte della cultura popolare, del folklore, della storia.

Entità che emanano una forza (oscura in questo caso) che tutto copre e tutto raggiunge.

Ozzy Osbourne - come Bowie - era un personaggio di questo tipo.

Un innovatore, un padre fondatore, una rockstar sacra ma umana, più che umana allo stesso tempo.



Il Re delle tenebre e il Principe del fallimento

Proprio a ridosso del grande show Back To The Beginning parlavamo di quanto i Black Sabbath fossero una band del popolo.

E in questo misto di sacralità e umanità che risiede la potenza comunicativa di Ozzy, una leggenda che - ammesso che abbia lasciato la vita terrena - non morirà mai.

Ozzy non era un cantante, non era un ricettacolo di eccessi con mille storie da raccontare, non un frontman magnetico ma una vera e propria incarnazione di cosa significhi essere rock.

Di quanto sia vero e bello essere imperfetti, sbagliati, fragili, in grado di tagliare in due una traccia come una lama, giganteggiare sul palco ma anche cadere, rialzarsi.

Il Re delle Tenebre, il principe del fallimento, il marchese dell'ironia, il duca dell'aneddotica.

In un mondo che corre verso il digitale e l’effimero, lui è sempre stato carne, sangue, e follia. Un uomo che ha guardato nell’abisso e ci ha fatto una risata sopra.


Le mille cadute di un (extra) Ordinary Man

Quello che rende Ozzy Osbourne eterno non è soltanto la sua musica, né la sua teatralità o l’aura da Principe delle Tenebre. È il fatto che, sotto ogni strato di urla, eccessi e pazzia, c’è sempre stato un ragazzo della working class, cresciuto tra fabbriche e difficoltà, con un sogno troppo grande e un cuore abbastanza colmo da raggiungerlo.

Ozzy è uno di noi. Uno che ha sbagliato cento volte, che ha vissuto ai margini, che si è perso tra dipendenze, tragedie, lutti, errori eppure è sempre tornato. Più rotto, più stanco, ma ancora vivo. E soprattutto ancora capace di amare e di essere amato.

Lo ha detto meglio di tutti lui stesso nell'album che ha segnato il suo grande ritorno quando nessuno ci credeva più, quell 'Ordinary Man, capolavoro dell'epoca Andrew Watt, in cui Ozzy scriveva in qualche modo il suo memoriale, il suo saluto ai fan ai quali in cui diceva di non voler morire come uomo qualunque. 

Ma la vita, beh, quella è un'altra storia. E nell'elenco delle cose straordinarie fatte da Ozzy c'è paradossalmente tutta la sua umanità.

Da quando era un ragazzo, Ozzy ha cercato di fuggire dalla vita di tutti i giorni, ha cercato e trovato ogni modo estremo per essere ricordato ma in questa sua ricerca - spesso complicata e sgangherata - di qualcosa di altro, con tutti i suoi alti è bassi, c'è quanto di più ordinario possibile.

L'essere umano, come tutti, pronto a sbagliare da un momento all'altro.

Ozzy non ha mai finto di essere perfetto. E proprio per questo milioni di persone lo hanno riconosciuto come fratello, padre, zio, amico. Quello che cade e si rialza, che sbaglia e impara, che ride e piange nello stesso momento.

Ozzy è umano in un mondo che idolatra l’infallibilità. E forse è proprio questo che ci lega così profondamente a lui: il fatto che ci somiglia.

.Nonostante il successo planetario, nonostante i milioni di dischi venduti, non ha mai davvero dimenticato da dove viene. Ogni volta che lo senti parlare, con quella voce rotta, uno sbiasciare segno di mille battaglie e quella sincerità disarmante, ti ricordi che la vera grandezza non sta nel sembrare invincibili, ma nel non mollare mai.


Ozzy ha dimostrato che anche chi parte dal nulla può arrivare a cambiare il mondo. E che restare sé stessi, nel bene e nel male, è la forma più autentica di eroismo.



La carriera di Ozzy Osbourne: un’odissea tra ombre e gloria

La carriera di Ozzy Osbourne è un viaggio epico attraverso le viscere della musica, una parabola che sfida ogni logica di sopravvivenza artistica e umana. Tutto inizia a Birmingham, nei tardi anni ’60, in quella grigia Inghilterra industriale che sputava acciaio e rabbia, quando quattro ragazzi inventano per errore l’heavy metal.

I Black Sabbath, con Ozzy come voce e volto di un’oscurità nuova, contro tutto e tutti, critica in primis, scolpiscono album fondamentali come Paranoid, Master of Reality, Vol. 4, dando voce a un’intera generazione in crisi, alienata, lontana dalla pace e amore dei figli dei fiori


Quando nel 1979 viene cacciato dalla band per i suoi eccessi, nessuno scommette un penny su di lui.
Ma è lì che inizia la seconda vita: Blizzard of Ozz (1980) è un’esplosione. Randy Rhoads alla chitarra, brani come Crazy Train e Mr. Crowley, e un nuovo capitolo che consacra Ozzy come entità autonoma, capace di rinascere dalle ceneri.

Negli anni successivi, tra alti e bassi, pubblica dischi seminali come Diary of a Madman, No More Tears, Ozzmosis, e inventa Ozzfest, un festival itinerante che diventa la piattaforma più potente per l’heavy metal degli anni ’90 e 2000.

Nel frattempo, entra nei salotti televisivi con The Osbournes, primo reality rock della storia, reinventando sé stesso come icona pop per le nuove generazioni. Ozzy, l’uomo che ha vissuto mille vite, ha collaborato con Zakk Wylde, Tony Iommi, Post Malone, Elton John, dimostrando una longevità artistica fuori da ogni schema.

E anche dopo operazioni, malattie e dolori, ha continuato a pubblicare musica, come Ordinary Man e Patient Number 9, due testamenti sonori che suonano come lettere d’amore al rock e alla vita stessa.

Ozzy Osbourne ha cambiato il corso della musica rock. Ha influenzato generazioni di artisti, ha segnato lo stile e l’estetica di un intero movimento. Ma il vero lascito del Principe delle Tenebre non è musicale. È umano. È quella capacità di trasformare il dolore in arte, la follia in poesia, la disperazione in energia.



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