Ozzy, Lemmy e il successo inaspettato di No More Tears
17 settembre 2025 alle ore 14:43, agg. alle 15:24
Con il grunge a prendersi gli anni '90, Ozzy riuscì a reinventarsi grazie all'aiuto di Lemmy e una manciata di hit buone anche per le radio
Il 17 settembre del 1991 Ozzy Osbourne pubblicava uno degli album più amati della sua carriera solista "No More Tears ", un lavoro che cercava di portare il suo suono e il suo personaggio nel nuovo decennio.
Nel 1991, Ozzy Osbourne si trovava in un momento cruciale della sua carriera. Lontano ormai dai giorni di eccessi assoluti con i Black Sabbath e dal caos creativo degli anni Ottanta, “Il Principe delle Tenebre" era pronto a riscrivere la sua leggenda con un disco che avrebbe ridefinito la sua identità artistica.
È proprio in questo contesto che nasce "No More Tears", il sesto album solista del Madman, contenente uno dei suoi brani più amati e sorprendenti: "Mama, I'm Coming Home".
Il compito dell'album era ridefinire la traiettoria di una carriera che – tra scandali, eccessi e trionfi – sembrava vicina all’ultima corsa.
E invece, in piena era grunge, Ozzy scelse di rialzarsi e affidarsi a una formula tanto imprevedibile quanto vincente: melodie più accessibili, una band devastante, e una collaborazione iconica come quella con Lemmy dei Motorhead, suo grande amico.
La devastante band di No More Tears
Agli inizi degli anni ’90, la carriera solista di Ozzy Osbourne sembrava avviarsi verso una lenta ritirata. Dopo il buon successo di The Ultimate Sin (1986) e No Rest for the Wicked (1988), l’ex frontman dei Black Sabbath era ancora una presenza fissa nei palazzetti e nelle classifiche, ma la sua immagine era appesantita dagli anni di eccessi e da un mercato musicale sempre più affollato da nuove correnti come il grunge di Seattle.
In più, Ozzy stesso aveva annunciato l’intenzione di ritirarsi con un tour d’addio chiamato "No More Tours". Sembrava la fine.
A dare nuova linfa vitale al suono di No More Tears fu innanzitutto la band. Dietro le pelli, un giovane Randy Castillo, già rodato nei tour precedenti. Al basso, il futuro Alice In Chains Mike Inez, che compose il celebre riff di apertura della title track (anche se non accreditato ufficialmente per la scrittura). Ma soprattutto, la presenza del funambolico Zakk Wylde - già in forze dal precedente "No Rest For The Wicked" - chitarrista dalla tecnica bruciante e dallo stile ruvido, quasi southern, che in quel disco trovò la perfetta alchimia tra virtuosismo e sensibilità melodica.
Il risultato? Un hard rock massiccio, con tinte metal e aperture radiofoniche, che non tradisce mai l’anima oscura e teatrale di Ozzy.
Un sound radiofonico in mezzo alla follia
Prodotto da Duane Baron e John Purdell, No More Tears rappresenta il punto di incontro perfetto tra l’heavy metal classico e le esigenze di una produzione radiofonica. L’album alterna ballate struggenti come “Road to Nowhere” e la già citata “Mama, I’m Coming Home”, a martellate sonore come “Mr. Tinkertrain” e “S.I.N.”.
Il pezzo simbolo è ovviamente “No More Tears”, una suite di oltre 7 minuti, cupa e ipnotica, con un groove assassino e un intermezzo strumentale quasi progressive. Un brano che rompe gli schemi, sfida le radio, e diventa comunque un successo planetario.
Le sessioni si svolsero principalmente a Los Angeles, e come ogni progetto targato Ozzy, non furono prive di follia. Tra maratone di registrazione notturne, assenze improvvise e momenti di totale delirio (leggenda vuole che Zakk Wylde distrusse una stanza dello studio dopo un'accesa discussione con un tecnico del suono), il processo fu tanto intenso quanto fruttuoso.
Ozzy, pur provato da anni di eccessi, si dimostrò incredibilmente concentrato. Voleva che il disco suonasse come un testamento, e per certi versi lo è stato.
Il contributo fondamentale di Lemmy
Tra gli ingredienti più inaspettati e decisivi di No More Tears c’è senza dubbio il contributo del leggendario Lemmy Kilmister. Figura mitologica del rock britannico, leader dei Motörhead, Lemmy era già da tempo amico e compagno di sbronze di Ozzy, ma fino a quel momento i due non avevano mai collaborato a livello creativo in modo così diretto.
Fu Sharon Osbourne, sempre attenta nel costruire la strategia dietro la carriera del marito, a proporre a Lemmy di scrivere alcuni testi per il nuovo album.
L’idea era semplice: Ozzy aveva bisogno di parole che fossero sporche, dirette, autentiche, ma anche capaci di veicolare un senso di profondità emotiva. Nessuno meglio di Lemmy poteva incarnare quella dicotomia tra nichilismo e poesia.
Ozzy, in una vecchia intervista per Classic Rock Magazine, raccontò così l’inizio della collaborazione:
“Gli abbiamo mandato dei demo, e nel giro di un giorno aveva scritto quattro testi. Quattro. E uno era ‘Mama, I’m Coming Home’. E ho pensato: ‘Cristo, è meglio di quanto potessi scrivere io!’”
Lemmy contribuì ai testi di 'Mama, I'm Coming Home', 'Hellraiser','Desire' e 'I Don't Want To Change The World', tutti brani che sarebbero diventati colonne portanti dell'album e classici del repertorio di Ozzy.
Il caso più emblematico è sicuramente “Mama, I’m Coming Home”, la ballata più personale e intima mai cantata da Ozzy. Il testo, ispirato alla relazione con Sharon e al senso di colpa per anni di assenze e autodistruzione, fu scritto da Lemmy in meno di un’ora, dopo aver ascoltato il demo con chitarra acustica di Zakk Wylde.
In un'intervista con Kerrang! del 1996, Lemmy ricordò con la sua solita ironia:
“Mi diedero la demo e mi dissero: ‘Parla di un uomo che torna a casa dalla moglie dopo anni fuori’. Io ho solo pensato: 'Ok, è roba country con più watt’. Ho preso una bottiglia di Jack, mi sono seduto, e bum, eccolo lì. Non mi sembrava niente di speciale, poi è diventato un singolo da milioni di copie.”
Ozzy stesso ha ammesso che all’inizio non si sentiva a suo agio a cantarla per quanto fosse personale. Ma Lemmy era riuscito a entrare nella sua testa, e a mettere nero su bianco quello che lui non riusciva ad articolare.
Il successo fu clamoroso: il singolo entrò nelle top 40 americane, diventando uno dei brani più trasmessi del 1992. E tutto, sostanzialmente, grazie a Lemmy.
Tra successo e aneddoti on the road
No More Tears uscì il 17 settembre 1991, nelle settimane in cui il mondo del rock si prendeva definitivamente le classifiche con album come Nevermind dei Nirvana, il Black Album dei Metallica, Ten dei Pearl Jam e i due Use Your Illusion dei Guns N'Roses. Eppure, riuscì a ritagliarsi uno spazio importante, raggiungendo il n.7 della Billboard 200 e vendendo oltre 4 milioni di copie solo negli Stati Uniti.
“Mama, I’m Coming Home” fu una delle ballate rock più passate dalle radio dell’epoca, mentre “I Don’t Want to Change the World” vinse il Grammy nel 1994 come "Best Metal Performance".
L’album proiettò Ozzy in una nuova fase della carriera: da figura borderline a icona mainstream.
Il tour promozionale, ironicamente chiamato No More Tours, fu una macchina perfettamente oliata... fin troppo. Tra le storie più assurde di quel periodo, si racconta che Ozzy, durante una data, si dimenticò completamente il testo di “Desire” e improvvisò versi senza senso. Il pubblico? Estasiato comunque.
Durante una tappa in Texas, invece, pare che Zakk Wylde finì per suonare l’intero set con una birra attaccata alla chitarra tramite del nastro adesivo, urlando “Hellraiser” con la bottiglia in mano.