Ode al basso Punk
18 settembre 2025 alle ore 12:15, agg. alle 13:04
Dal plettro al look, dal minimalismo alla ribellione. Viaggio nel basso punk e nei suoi eroi: da Dee Dee Ramone a Paul Simonon, Duff McKagan e Bruce Foxton
Il basso punk è un manifesto. Essenzialità, attitudine e velocità lo trasformano in un approccio nuovo e personale che, alla fine degli anni ’70, squassa i canoni del rock, liberandolo da virtuosismi e contaminazioni funk, classiche e blues, imponendo una centralità fatta di urgenza e cattiveria. Dal plettro indispensabile al basso portato alle ginocchia, nasce uno stile che è suono ma anche immagine, presenza e ribellione.
Per raccontarlo abbiamo scelto quattro volti che incarnano stili e approcci diversi: Dee Dee Ramone (Ramones), Bruce Foxton (The Jam), Paul Simonon (Clash) e Duff McKagan (Guns N' Roses). Un piccolo itinerario d’ascolto per riconoscere, nei loro riff, la vera anima del basso punk.
Il Basso diventa protagonista
Il bassista punk ha un primato importante nel rock: quello di aver connotato all’interno di questo genere un ruolo, un suono e un’attitudine finalmente inediti per questo strumento. Benché fino ad allora il basso si fosse distinto con strumentisti eccezionali e parti memorabili (da Paul McCartney a John Entwistle degli Who, passando per Jack Bruce dei Cream o John Deacon dei Queen), gran parte del linguaggio che i bassisti adottavano era profondamente derivativo: idee e soluzioni arrivavano dal jazz, dal funk, dal blues e — soprattutto nel progressive e nel pop — persino dalla musica classica. Sembrava che, nell’evoluzione esplosiva del rock, chitarra e batteria fossero il motore creativo e innovativo di un linguaggio totalmente nuovo e proprio di quel genere, linguaggio che i bassisti assecondavano, ma sempre con soluzioni che arrivavano da altrove. Nel punk, invece, il basso per la prima volta si esprimeva in maniera totalmente nuova. Nella sua semplicità, essenzialità tecnica, ritmica e armonica quasi primitiva, sfoggiava un linguaggio, un’attitudine e una tecnica che erano esclusivamente rock e che — da lì in poi — avrebbero cambiato completamente lo stile degli arrangiamenti e di conseguenza il suono delle derive più moderne, aggressive e alternative del rock. L’essenzialità del bassismo punk, inizialmente etichettata come una maniera involuta, fastidiosamente semplice per chi era abituato alle prodezze del rock, dell’hard rock e del progressive barocco di inizio anni Settanta, rivelava in realtà una complessità inattesa. Serviva una solidità ritmica inarrestabile, paradossalmente più vicina alla allora nascente disco music che ai generi dove il basso suonava in modo tecnico ma “svolazzante” sul tempo. Servivano attitudine e suono più centrati, perché ora il basso, anziché disegnare linee dilatate e debordanti, doveva incollarsi, quasi mimetizzarsi in riff serratissimi, ottusi e veloci tra chitarra e batteria. E serviva un suono che fosse “giusto” prima ancora che grosso e bello. E poi, serviva imparare a maneggiare quel dannato piccolo oggetto che fino ad allora era stato patrimonio dei soli chitarristi: il plettro. Perché per suonare il basso punk il plettro è praticamente indispensabile, per velocità, attacco, uniformità del suono e cattiveria. Inoltre, proprio per suonare con questa veemenza, in maniera così ritmica, conferendo al braccio destro, e a quel plettro, il ruolo di motore propulsore del proprio playing, il bassista punk inizia a portare sempre più basso il suo strumento. Una scelta funzionale, certo, ma che finisce per incrementare — più o meno consapevolmente — anche look, presenza e stile. Nel punk il bassista acquista una fisicità e uno stile che fino ad allora non gli erano mai appartenuti: chiodo, jeans strappati e basso alle ginocchia diventano, da Dee Dee Ramone a Sid Vicious passando per Paul Simonon, una sorta di divisa di ordinanza.
Ribellione e Minimalismo
Un elemento che tradisce un’altra rivoluzione importante introdotta dal bassista punk: in un approccio al rock dove tutti i più grandi — da Chuck Berry a John Bonham, dai Beatles ai Pink Floyd — si concedevano il piacere di affiancare alla grande scrittura anche grandi esecuzioni tecniche e parti strumentali sopraffine, il bassista punk rinunciava completamente a ogni velleità virtuosistica. Si immolava alla velocità, alla potenza, all’efficacia. Una rinuncia solo apparente, perché in realtà quell’approccio era straordinariamente innovativo e consegnava al bassista una centralità nuova, fin lì impensabile. C’è anche un aspetto politico e ideologico perché il basso punk incarnava ribellione e minimalismo come scelta di campo, in aperta opposizione al compiacimento tecnico e barocco del rock precedente. Quella del basso punk, poi, è un'eredità che esplode in mille direzioni. Questo stile ha influenzato la new wave, il grunge e l’alternative rock, fino ad arrivare al nu metal. Ma soprattutto ha plasmato il thrash metal degli anni ’80 — da Metallica a Slayer e Megadeth — nato proprio dal connubio tra il compiacimento tecnico del metal e l’urgenza di essenzialità, velocità e cattiveria incarnate dal basso punk. Un ponte sonoro che ha scolpito l’evoluzione del rock alternativo e, insieme, le fondamenta del metal moderno.
4 Eroi del Basso Punk
Per chi volesse avvicinarsi al suono e allo stile del basso punk, abbiamo selezionato quattro nomi particolarmente significativi per suono, attitudine e originalità. Quattro storie diverse che raccontano come il basso punk possa essere cattiveria, melodia, contaminazione e persino eredità portata oltre i confini del genere.
DEE DEE RAMONE (Ramones)
L’archetipo del bassista punk non poteva che essere lui: Dee Dee Ramone. Fondatore dei Ramones, la vera scintilla del punk prima ancora dei Sex Pistols, ha definito il ruolo del basso nel genere con linee veloci e in perfetta simbiosi con chitarra e batteria. Fondamenta così coese da risultare quasi invisibili, ma indispensabili per sostenere la carica e l’aggressività della band. Il suo stile è semplice, quasi brutale, ma potentissimo: esclusivamente ritmico, con una precisione stupefacente che impedisce a forza e immediatezza di disperdersi. Il loro classico “Blitzkrieg Bop” (RAMONES, 1976) è perfetto per capire e innamorarsi del lavoro del suo quattro corde.
BRUCE FOXTON (The Jam)
Bruce Foxton dei The Jam può essere considerato un bassista punk iconico a patto di accoglierne l’eccezionale eterogeneità. Ex chitarrista con un solido background tecnico e armonico, ha trovato nel punk la chiave per rileggere in modo più moderno il suo stile, sfumato tra mod revival e un approccio melodico influenzato da Beatles e soul. Come Sting nei Police — anche lui con radici jazz — ha trasformato il basso in un linguaggio personale, contribuendo a definire il suono distintivo dei Jam con linee sempre presenti e melodiche, spesso protagoniste delle canzoni, non solo di sostegno. Quello che suona su “Down in the Tube Station at Midnight” (ALL MOD CONS, 1978) va oltre il punk: è una delle linee di basso più cazzute, insidiose ed efficaci del rock.
PAUL SIMONON (The Clash)
Carismatico, iconico, stilisticamente unico. Paul Simonon ha portato nel punk un approccio diverso, filtrato da reggae, R&B e jazz, ampliandone la tavolozza ritmica e culturale. Non solo un bassista brillante, ma anche un’icona di stile: la sua immagine con il basso basso alle ginocchia è diventata simbolo visivo del punk stesso. Per approfondirlo, LEGGI L’ARTICOLO CHE GLI ABBIAMO DEDICATO. Ascolto d’obbligo “Guns of Brixton” (LONDON CALLING, 1979)
DUFF McKAGAN (Guns N’ Roses)
Duff McKagan dei Guns N’ Roses è una scelta “ad honorem” come bassista punk. Anche se i Guns appartengono all’hard rock, Duff ha portato nel loro sound un’influenza diretta di Clash e Sex Pistols, evidente non solo nelle linee di basso energiche e aggressive, ma anche nello spirito punk che permea il suo modo di suonare, scrivere e persino il look. Il suo approccio affonda radici nel punk e post-punk: potente, diretto, ma anche melodico e groovy. Negli anni ’90 ha fondato i Neurotic Outsiders, superband con il chitarrista dei Sex Pistols Steve Jones, a conferma del suo legame con quel mondo. Brano consigliato: “It’s So Easy”, linea nervosissima di basso punk , rigorosamente a plettro, in uno dei pezzi più feroci del capolavoro APPETITE FOR DESCRUTION del 1987.