History

Made In Heaven, quando i Queen ricordarono Freddie dopo la morte

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Author image Gianluigi Riccardo

06 novembre 2025 alle ore 10:36, agg. alle 18:03

Tra rielaborazioni del suo lavoro solista e tanta emozione, nel novembre del 1995 i Queen pubblicavano un ultimo album in memoria di Freddie Mercury

Quando Made In Heaven vide la luce il 6 novembre 1995, il mondo del rock aveva già perso da quattro anni una delle sue voci più iconiche: Freddie Mercury.

L’album, pubblicato postumo, è il quindicesimo e ultimo lavoro in studio dei Queen, ma è anche un testamento artistico e umano che racchiude tutta la complessità di un addio.

La morte di Freddie, avvenuta il 24 novembre 1991 per complicazioni legate all’AIDS, aveva lasciato un vuoto incolmabile. Il giorno prima, il cantante aveva annunciato pubblicamente la sua malattia, chiudendo il cerchio di una carriera vissuta sempre al massimo, con un ultimo gesto di verità e dignità.

Per Brian May, Roger Taylor e John Deacon, affrontare la perdita fu devastante. Non si trattava solo di dover elaborare il lutto di un amico, ma di decidere se e come continuare a fare musica.

“È stato traumatico lavorare con la voce di Freddie e non potergli parlare”, raccontò anni dopo Brian May.

L’idea di realizzare un album postumo nacque proprio dal desiderio di dare un ultimo saluto degno alla loro storia, trasformando il dolore in arte.

Made In Heaven divenne così una dichiarazione d’amore reciproca tra la band e il suo frontman, un progetto che mescolava memoria, tecnica e sentimento in un equilibrio fragile e potentissimo.

Da Mr. Bad Guy a Made in Heaven

Ma per capire davvero come nacque quest’opera bisogna fare un passo indietro, all’avventura solista di Freddie Mercury.

Nel 1985, il cantante aveva pubblicato Mr. Bad Guy, il suo primo e unico album da solista, in cui mescolava pop, disco e ballate romantiche. Alcuni brani di quel disco — come Made In Heaven e I Was Born to Love You — sarebbero poi tornati protagonisti dieci anni dopo, rielaborati e “riportati a casa” dai Queen.

Quei semi musicali, nati dal desiderio di libertà di Freddie, sarebbero diventati il cuore di un progetto molto più grande, realizzato da chi lo conosceva meglio di chiunque altro.

Dopo la morte di Freddie, i Queen si trovarono davanti a ore e ore di registrazioni incompiute, demo, bozze vocali e frammenti di piano. Brian May, Roger Taylor e John Deacon decisero di tornare a lavorare insieme, chiudendosi per mesi nei Mountain Studios di Montreux — lo stesso luogo dove Freddie aveva inciso parte del suo ultimo materiale.

L’obiettivo era chiaro: completare le canzoni senza tradire lo spirito originario. “Abbiamo passato mesi a montare pezzi, a farli suonare come se fossimo tutti insieme in studio”, raccontò May. “Era come costruire un’illusione sonora, un sogno in cui Freddie era ancora con noi.”


Un lavoro titanico

Dal punto di vista tecnico, il lavoro fu titanico. Alcune registrazioni erano complete, altre contenevano solo la voce o brevi take di piano. I tre superstiti dovettero arrangiare e suonare intorno a quel materiale, ricreando la magia dei Queen. Roger Taylor aggiunse nuove batterie e cori, Deacon ridisegnò le linee di basso, e May costruì muri di chitarre in pieno stile Queeniano.

Ma al di là della tecnica, il processo era anche un esercizio di resistenza emotiva. “Era strano, a volte terribile,” ricordò May in un’intervista alla BBC. “Ascoltavi la sua voce, pensavi ‘questa take è incredibile, suona così viva’… e poi ti ricordavi che lui non c’era più.”

Brani come A Winter’s Tale, scritti da Mercury quando ormai la malattia era in uno stadio avanzato, portano un’emozione disarmante. È una delle ultime canzoni che Freddie completò, e Roger Taylor raccontò che “è davvero nata da quel periodo in cui lui era malato ma ancora pieno di vita”.

In Mother Love, invece, si sente l’incompiutezza in modo quasi tangibile: l’ultima parte è cantata da Brian May, perché Freddie non fece in tempo a registrarla. È come se l’album intero fosse una conversazione tra i quattro, interrotta dalla morte ma proseguita attraverso la musica.

L’uso delle tracce soliste di Mercury — Made In Heaven e I Was Born To Love You — sollevò anche qualche dibattito tra i fan.

Alcuni trovarono controverso che canzoni nate per un progetto personale venissero “convertite” in brani dei Queen. Ma Brian May rispose con semplicità: “Abbiamo preso un po’ di cose dal suo lavoro solista e le abbiamo rifatte alla nostra maniera. È stato un lavoro d’amore.” Ed è proprio in questo spirito che l’album prende vita: come un mosaico costruito con dedizione, rispetto e una forte componente



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