LA STORIA DI AUDIOSLAVE. Rick Rubin, Chris Cornell e i Rage nella genesi di un disco leggendario
18 novembre 2025 alle ore 10:59, agg. alle 13:48
Rick Rubin unisce Chris Cornell e i Rage Against The Machine negli AUDIOSLAVE: alternative moderno e solidità hard rock si fondono in un debutto leggendario
La nascita degli AUDIOSLAVE arriva in un momento di crisi per i Rage Against the Machine, rimasti senza il cantante Zack de la Rocha, e incrocia Chris Cornell dei Soundgarden con Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk. A tenere insieme i pezzi è il produttore Rick Rubin, che intercetta la scintilla e trasforma quella fase fragile in un nuovo motore creativo potentissimo.
Rick Rubin valorizza l’anima live della band, l’interplay tra voce e sezione ritmica e la centralità della chitarra di Morello, “il Jimmy Page dei nostri giorni”. Il debutto AUDIOSLAVE, pubblicato il 18 novembre 2002, unisce la modernità dell’alternative rock con la solidità dell’hard rock della miglior tradizione — quella scuola che porta dritta alle intuizioni di Led Zeppelin e AC/DC. Un classico immediato, premiato dal pubblico e coronato da nomination ai Grammy.
l'Angelo provvidenziale
Gli Audioslave sono una favola rock. Una di quelle storie in cui tutti gli elementi sembrano messi lì per creare un piccolo mito: il supergruppo definitivo, l’incontro naturale tra due realtà cardine dell’alternative anni ’90 e un produttore visionario che fa da regista. E, alla fine, un disco di debutto che diventa uno spartiacque dell’alternative moderno. La prima componente “mitica” è la formazione: Chris Cornell dei Soundgarden alla voce e tre quarti dei Rage Against the Machine – Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk – a basso, chitarra e batteria. Due band che, negli anni ’90, hanno contribuito in modo decisivo all’evoluzione del rock alternativo. I Soundgarden erano la faccia più complessa e stratificata del grunge: punk, blues, psichedelia, metal e sperimentazione che convergevano in un equilibrio unico. I Rage, al contrario, rappresentavano l’anima più militante e incendiaria dell’alternative: il crossover dove funk, rap, metal e rock si contaminavano creando un linguaggio nuovo. Non mondi opposti, ma due declinazioni coerenti della stessa rivoluzione stilistica. La seconda componente “fiabesca” è Rick Rubin. All’inizio degli anni 2000 Rubin è nel pieno di un’altra fase dorata: sta producendo Johnny Cash e ha appena riportato i System of a Down al numero uno con TOXICITY. Ma per capire il suo peso specifico bisogna tornare agli anni ’80: Rubin è il visionario che porta rap e metal estremo fuori dalla nicchia, trasformandoli in generi da classifica. Due linguaggi che spopolavano tra i giovani ma che l’industria non considerava commerciali: lui li lancia, li istituzionalizza, li fa diventare cultura pop. Questo è il livello di genio che entra in campo nella nascita degli Audioslave. Nel frattempo, i Rage implodono perché Zack de la Rocha se ne va. I tre superstiti sono demoralizzati e senza direzione. Ed è qui che Rubin, come racconterà Tim Commerford, entra in scena “come un angelo provvidenziale”. Li accoglie a casa sua, mette a disposizione un terapeuta per farli ripartire, li aiuta a scrivere nuovo materiale e soprattutto tira fuori l’idea decisiva: “Dovreste suonare con Chris Cornell”. Il collegamento Rubin–Rage nasce da un episodio quasi romanzesco: anni prima Rubin stava producendo un disco di Joe Strummer dei Clash e invita a registrare delle chitarre un giovane Tom Morello. Per Morello è come incontrare il proprio supereroe: idolatra Strummer per l’attitudine, per l’idea che “prima di come suoni, conta cosa hai da dire”. E da un punto di vista più nerd, Morello impara da lui il principio del “usa quello che hai”. Paradossale, visto che diventerà uno dei chitarristi più innovativi proprio grazie al suo ingegno su una strumentazione essenziale.
Chimica fortissima
Quando Rubin propone Cornell, l’entusiasmo è immediato: la chimica è fortissima fin dalle prime prove. Cornell percepisce subito che quell’incrocio può generare riff duri, funk nervoso, rock pesante, ballad emotive. E infatti la musica decolla senza intoppi. Le difficoltà non sono artistiche ma manageriali: Rage e Soundgarden sono già due “corporation” del rock, con strutture da far dialogare. E una volta risolto il caos dei management, Chris Cornell racconta che l’alchimia con i tre Rage è talmente immediata da sembrare quasi sospetta. Le idee arrivano senza sforzo, i brani si chiudono con una naturalezza disarmante, al punto che a un certo momento si chiedono se non stiano sbagliando qualcosa, se quella facilità non nasconda superficialità. In realtà è l’esatto opposto. Chris Cornell ricorda che producono così tanta musica che, da una settimana all’altra, si dimenticano perfino delle canzoni scritte: quando riascoltano i nastri restano ogni volta eccitati, perché tutto suona nuovo. E sottolinea un punto cruciale: nelle rock band, di solito, si lavora così tanto a un brano — riscritture, arrangiamenti, mix, ritocchi su ritocchi — che quando finalmente è finito, paradossalmente, non se ne può più. Il pezzo è pronto, ma si è già stanchi di ascoltarlo. Con gli Audioslave accade il contrario: ogni canzone nasce fresca, spontanea, sorprendente. Morello conferma: “In otto mesi con Chris abbiamo scritto più musica interessante che in otto anni con Zack de la Rocha”. Tom Morello aggiunge che in quella fase di scrittura e pre-produzione l’apporto di Rick Rubin è decisivo. Rubin passa ore con la band, ascolta ogni brano con entusiasmo autentico e imposta sempre la stessa domanda: "come lo rendiamo migliore?" I suoi suggerimenti sono spesso microscopici — un accento diverso sul ritornello, un ritmo leggermente spostato — ma hanno l’effetto di far esplodere il pezzo. E poi c’è la sua dote più rara: scegliere la take perfetta. Mentre i musicisti sono immersi nel suonare, Rubin coglie quell’esecuzione dove energia, groove e ispirazione si allineano.
"Il Jimmy Page dei nostri giorni"
Brad Wilk racconta che, dopo l’entusiasmo iniziale, in studio il lavoro si fa duro. Rubin pretende che ogni brano venga registrato più volte, con approcci diversi, per capire quale meriti davvero di entrare nel disco. Una scrematura implacabile. Morello ricorda che spesso, finita una take di cui erano entusiasti, si voltavano verso Rubin… e trovavano il pollice verso: “Rifacciamola”. Un processo massacrante ma fondamentale. In questa fase Rick Rubin concentra tutto il focus sulla chitarra di Tom Morello, che considera il motore sonoro del progetto. La stima è totale: Rubin lo definisce senza esitazioni “il Jimmy Page dei nostri giorni”. E Morello, fedele alla sua filosofia del usa quello che hai, porta in studio la stessa identica strumentazione dei Rage Against the Machine: chitarra, ampli e la sua arma segreta, il Whammy Pedal, il pedalone rosso che — grazie a lui — diventerà un classico del rock moderno, capace di far schizzare la nota di una o due ottave creando il suo ululato inconfondibile. Per guidare e ispirare il lavoro di Morello, Rubin dà una direttiva tanto specifica quanto suggestiva: ogni assolo deve richiamare Angus Young. È quasi surreale! Uno dei più grandi produttori del rock che parla al “Jimmy Page dei nostri giorni” e gli chiede di evocare un’altra leggenda assoluta. Una scena da sala prove di adolescenti che imitano i loro idoli — solo che qui gli idoli sono loro. E il risultato sono alcuni degli assolo più esplosivi della carriera di Morello. Altri due aspetti definiscono in modo decisivo la produzione di Rick Rubin su questo disco. Il primo riguarda il drumming di Brad Wilk. Rubin lo invita a suonare più pesante, soprattutto nelle ballad. Wilk, per istinto, tendeva a essere più leggero in brani come “Like a Stone” o “Getaway Car”, per rispettarne la delicatezza. Rubin ribalta il paradigma: “Picchia comunque. La dinamica non si perde, anzi si esalta”. Una visione che richiama la stagione hard rock dei Led Zeppelin: essere monolitici anche nei momenti più morbidi, perché la potenza può convivere con la sensibilità. Il secondo elemento è ancora più determinante: Rubin costringe la band a suonare live in studio, voce inclusa. Niente overdub separati. Brad Wilk racconta che questa scelta dà groove e vita al disco: molti suoi accenti sui piatti seguono direttamente la voce di Cornell, proprio perché registrati insieme. L’interplay diventa parte del suono.
"In garage, a tutto volume!"
E Chris Cornell è il primo a riconoscere quanto Rick Rubin sia stato determinante. Racconta che nei Soundgarden aveva sempre voluto controllare ogni singolo dettaglio: le riprese delle chitarre, la microfonazione, i mix, gli editing, il bilanciamento delle tracce, tutto. Non per mania, ma perché sentiva la responsabilità di custodire la visione della band. Dice che negli anni ’90 non avrebbe mai delegato nulla: voleva essere presente in studio dal primo colpo di rullante all’ultima ritoccata al mastering. Doveva verificare, ascoltare, correggere. Era un modo per tenere saldo il timone. Con Rick Rubin succede l’esatto contrario. Cornell parla di “fiducia totale”, una sensazione nuova e quasi spiazzante. Per la prima volta si sente libero di concentrarsi solo su ciò che per lui conta davvero: scrivere, cantare, trovare le parole giuste, entrare nel pezzo in modo emotivo anziché tecnico. E racconta che questa libertà lo rigenera. Addirittura evita di presenziare ai mix o alle sessioni in cui Rubin registra e scolpisce il suono delle chitarre di Morello: non per disinteresse, ma perché finalmente sente di potersi affidare. Cornell dice che è stata una scelta rivoluzionaria a livello personale: “Ho lasciato andare il controllo e il disco è uscito meglio di quanto avrei immaginato”. Quella fiducia non solo gli ha tolto un peso, ma gli ha permesso di vivere la fase creativa con una lucidità e un entusiasmo che non provava da anni. Tutto questo porta all’ultimo tassello fiabesco di questa storia. Finite le registrazioni, Tom Morello e Tim Commerford si chiudono nel garage di Tim, alzano il volume a livelli indecenti e ascoltano il disco come due adolescenti con il loro primo stereo. Morello ricorda: "ci sono rimasto secco: non riuscivano a credere alla potenza di ciò che avevano messo su nastro." La conferma definitiva arriva dal mondo esterno. Fan dei Soundgarden e dei Rage Against the Machine — spesso tribù distinte — reagiscono all’unanimità, impazziscono per il disco e lo spingono subito nella Top 10 della Billboard 200. E nel 2003 arrivano anche le nomination ai Grammy: Miglior Album Rock, Miglior Performance Hard Rock. Una consacrazione immediata."