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La PETA chiede agli Alice In Chains di cambiare nome

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Author image Gianluigi Riccardo

03 dicembre 2025 alle ore 15:42, agg. alle 16:24

Dopo Robert Plant sono gli Alice In Chains i destinatari della richiesta della PETA per cambiare nome in difesa degli animali

La PETA ha rivolto una nuova richiesta al mondo della musica rock: chiedere agli Alice in Chains di modificare temporaneamente il proprio nome in “Betty in Chains”, con l’obiettivo di attirare l’attenzione pubblica sul caso di Betty, un’elefante di 56 anni che, secondo l’organizzazione animalista, sarebbe costretta a esibirsi in centinaia di spettacoli circensi all’anno.

L’appello arriva tramite una lettera indirizzata ai membri della band — Jerry Cantrell, Sean Kinney, Mike Inez e William DuVall — nella quale la PETA sottolinea come l’adozione del nome simbolico potrebbe contribuire a “liberare” la storia dell’animale, raggiungendo un pubblico ampio e difficilmente raggiungibile con una campagna tradizionale.

La storia dell'elefante Betty

Secondo le segnalazioni citate dall’associazione, Betty sarebbe stata sottratta dal suo habitat originario in Thailandia quando era ancora cucciola e, da allora, avrebbe passato la vita tra catene, addestramento coercitivo e performance nei circhi statunitensi.

La PETA sostiene che l’elefante, oggi anziana e con un quadro fisico definito “critico” da alcuni esperti, rischierebbe un collasso fatale se non trasferita in un santuario adeguato.

Per questo il cambiamento di nome — anche solo per un mese sui social della band — viene presentato come un’azione ad alto impatto mediatico e a basso costo per gli stessi artisti.

L’obiettivo dell’associazione è chiaro: generare un’ondata di attenzione capace di accelerare la discussione sulle condizioni degli animali impiegati nell’intrattenimento e, in particolare, sulla sorte della singola elefante, che la PETA definisce come “uno degli animali più depressi al mondo”.


Il precedente con Robert Plant e la strategia comunicativa della PETA

La richiesta agli Alice in Chains non è un caso isolato. Nelle scorse settimane la PETA aveva infatti contattato anche Robert Plant, proponendogli di ribattezzarsi simbolicamente “Robert Plant Wool” in occasione del cosiddetto “Plant Wool Month”, un’iniziativa dedicata alla promozione di materiali tessili di origine vegetale, ritenuti più sostenibili e cruelty-free rispetto alla lana animale. L’associazione aveva spiegato che un endorsement dello storico cantante dei Led Zeppelin avrebbe contribuito a far conoscere alternative come cotone, canapa e fibre derivate da scarti biologici.

Questa strategia, sempre più frequente nelle campagne dell’organizzazione, mira a coinvolgere figure note per amplificare messaggi etici attraverso un approccio semplice e immediato, spesso basato su giochi di parole legati ai nomi degli artisti.

L’idea, secondo la PETA, è che un intervento simbolico da parte di personaggi appartenenti alla cultura pop e rock possa generare più discussione e più copertura mediatica rispetto a comunicati e iniziative tradizionali.


Nel caso degli Alice in Chains, il riferimento diretto alla parola “Chains”, catene, consente all’associazione di collegare il brand della band al concetto di prigionia e sfruttamento animale. Da qui la proposta di “Betty in Chains”, che punta a creare un parallelismo immediato tra il nome del gruppo e la condizione dell’elefante. Una strategia comunicativa in linea con il modo di operare dell’organizzazione, che spesso utilizza campagne provocatorie per aprire un dibattito pubblico.

Al momento non è arrivata alcuna risposta ufficiale da parte degli Alice in Chains. La band non è nuova a iniziative benefiche o cause sociali, ma è difficile prevedere se accetterà di adottare, anche solo temporaneamente, un nome diverso. L’operazione comporterebbe principalmente una modifica sui canali social e non un cambiamento formale nell’attività musicale, ma rimane un gesto che tocca direttamente l’identità del gruppo.



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