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Joe Satriani e Flying in a Blue Dream: la chitarra strumentale che parla al grande pubblico

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Author image Gianni Rojatti

30 ottobre 2025 alle ore 09:21, agg. alle 10:56

Con FLYING IN A BLUE DREAM Joe Satriani porta la chitarra strumentale nel mainstream, unendo tecnica, melodia e un raro equilibrio compositivo.

Pubblicato il 30 ottobre 1989, FLYING IN A BLUE DREAM di Joe Satriani è uno degli album più accessibili e riusciti di musica prevalentemente strumentale, incentrata sulla chitarra: un disco costruito sui nuovi linguaggi della chitarra elettrica post-Van Halen, quelli più tecnici e fantasiosi, capace di unire virtuosismo, melodia e solidità di scrittura.

Un album che, a fronte del successo commerciale ottenuto, permette di riflettere sulla nascita e la rapida parabola della musica strumentale per chitarra negli anni Ottanta. Perché se tutti i dischi di quel periodo avessero avuto l’equilibrio di Satriani, forse il genere sarebbe sopravvissuto. Invece molti lavori — da Tony MacAlpine a Vinnie Moore, dai Cacophony di Jason Becker e Marty Friedman ai Racer X — finirono per privilegiare la forma sulla sostanza: prove di tecnica esasperata, spesso a scapito del songwriting. Satriani, in mezzo a tutto questo, fu una mosca bianca.

La stagione della chitarra

Lo sappiamo: gli anni ottanta sono stati un decennio fondamentale per la chitarra. Ogni epoca del rock ha avuto i suoi protagonisti a sei corde (Hendrix, Clapton, Townshend, Page, Blackmore…), ma dopo l’esordio dei Van Halen nel 1978 con l’album omonimo, la chitarra cambia davvero linguaggio. Il metal, fino ad allora legato all’esasperazione di quanto di meglio fatto in ambito blues, rock e hard rock, diventa molto più tecnico e complesso. Tutte le intuizioni viscerali di Hendrix, Page e Blackmore si evolvono in un linguaggio più articolato, dove velocità, eclettismo stilistico, complessità armonica e precisione diventano centrali. A fare da ponte tra la tradizione e la nuova era ci sono nomi come Uli Jon Roth e Randy Rhoads che, sulla scia di Ritchie Blackmore, portano nella chitarra metal l’influenza della musica classica. Subito dopo arriva Yngwie Malmsteen, che sublima questa evoluzione, dimostrando che i fraseggi di Bach e Paganini possono convivere con la distorsione: Malmsteen è il primo chitarrista a ottenere un grande successo come solista in ambito heavy metal, mantenendo la potenza del genere ma con un linguaggio neoclassico. Con lui la chitarra entra in una dimensione più colta, senza perdere il carisma elettrico del rock. Parallelamente l’armonia si espande: entrano modi, arpeggi jazz, cromatismi. Tutto si complica e si raffina. La chitarra diventa protagonista ovunque: Stevie Ray Vaughan con David Bowie, Eddie Van Halen con Michael Jackson, le innovazioni di The Edge e Andy Summers, Prince con la sua estetica funk e le impennate hendrixiane, Mark Knopfler con i Dire Straits, gli AC/DC con BACK IN BLACK, Steve Stevens con Billy Idol. È un momento irripetibile: la chitarra è lo strumento centrale, il più dinamico, del rock di quegli anni.


Lo Shred

Ma soprattutto i Van Halen: una band guidata da un chitarrista rivoluzionario più popolare del cantante, capace di arrivare in cima alle classifiche grazie a riff e assoli. Eddie Van Halen diventa un modello planetario. Per milioni di ragazzi, suonare la chitarra diventa improvvisamente una delle cose più desiderabili del mondo. Subito dopo arriva Steve Vai, virtuoso di scuola zappiana che riesce a entrare nel mainstream: prima con gli Alcatrazz, i P.I.L poi come sostituto proprio di Van Halen nella band solista di David Lee Roth. Con lui la chitarra tecnica diventa spettacolo, precisione, teatralità. Tutto questo porta a un punto di svolta: tra il 1986 e il 1987 la chitarra si emancipa dal ruolo di spalla del cantante e inizia a vivere di vita propria. È il momento in cui nasce e prospera la musica strumentale per chitarra. In questa scena emergono chitarristi come Tony MacAlpine, Vinnie Moore, Richie Kotzen, Paul Gilbert e Greg Howe: è la stagione dello shred, dove metal, prog e fusion si fondono in una corsa alla velocità e alla perfezione tecnica. Ma dentro a questa ondata, Joe Satriani sceglie un’altra via.


Una mosca bianca

Joe Satriani è un virtuoso, ma con una visione diversa: non gli interessa dimostrare, gli interessa scrivere. È un chitarrista con un senso melodico e armonico forte, capace di costruire brani che funzionano anche fuori dal contesto tecnico. E poi è un insegnante, parte della sua leggenda: ha formato tre chitarristi che rappresentano mondi completamente diversi. Kirk Hammett, chitarrista dei Metallica, porta il thrash metal — la corrente più innovativa del decennio — su palchi di massa con una consapevolezza tecnica nuova. Steve Vai, l’allievo più noto, incarna il virtuosismo post-Van Halen, capace di unire spettacolo e rigore. Larry LaLonde, dei Primus, rappresenta invece la scena alternativa e sperimentale, lontana dal virtuosismo puro ma figlia della stessa curiosità. Tre percorsi diversi, un’unica matrice: la scuola Satriani. Satriani però non è solo un grande insegnante. Aveva dalla sua anche l’autorevolezza di chi, nel 1987, pubblica un disco come SURFING WITH THE ALIEN: il primo album interamente strumentale degli anni Ottanta a ottenere un successo di classifica. Certo, in passato c’erano stati artisti come Santana o la lunga stagione del jazz-rock, ma Satriani porta qualcosa di nuovo: potenza rock, tecnica moderna e scrittura melodica. Quel disco lo trasforma in un personaggio popolare. “Always With Me, Always With You” e “Surfing With The Alien” passano in radio. Negli anni successivi consolida questa fama con due prove di prestigio: accompagnare Mick Jagger nel tour solista e sostituire Ritchie Blackmore nei Deep Purple.


FLYING IN A BLUE DREAM

Nel 1989 pubblica FLYING IN A BLUE DREAM, il suo terzo album e la conferma definitiva. Alla batteria c’è Simon Phillips (poi nei Toto), al basso Stuart Hamm. Rispetto al precedente, è un disco più ampio e ambizioso, costruito su un vero gruppo. La produzione è curata, gli arrangiamenti ricchi, la scrittura più aperta. Il disco vende moltissimo, ottiene nomination ai Grammy e diventa un riferimento. È anche più eclettico. Accanto ai brani di pura energia come “The Mystical Potato Head Groove Thing” o “One Big Rush”, ci sono momenti più melodici come “I Believe” e “Flying in a Blue Dream”. Le parti cantate — oggi forse le più datate — servivano allora a rompere l’immagine del disco puramente tecnico. L’album risente della produzione pop rock dell’epoca, con tocchi funk, tanto blues bianco e persino qualche eco synth pop, electro e new wave. Ma resta coerente: equilibrio tra modernità e personalità. Nonostante la distorsione e la potenza, FLYING IN A BLUE DREAM non è un disco metal. Satriani non esaspera mai. Il suo fraseggio è controllato, fluido, costruito con misura. Deve molto a Jimi Hendrix, da cui eredita libertà espressiva, eccentricità e capacità di far “cantare” la chitarra. Uno dei momenti più rappresentativi è “A Day at the Beach”, suonato interamente in tapping — tecnica resa celebre da Eddie Van Halen che prevede l’uso di entrambe le mani sulla tastiera per ottenere maggiore velocità e fluidità. Satriani la trasforma in poesia: il brano è dolce, melodico, ipnotico.


Musicale e accessibile

FLYING IN A BLUE DREAM diventa inoltre uno degli album più studiati dai chitarristi nelle accademie di musica moderna. Ha tutto: tecnica allo stato dell’arte, armonia, ritmo, controllo e scrittura coerente. È un manuale, ma anche un disco con una vera identità artistica. E se qualcuno non si è mai avvicinato alla musica strumentale per chitarra, magari scoraggiato dall’idea di trovarsi di fronte a una raccolta di acrobazie su basi metal o fusion pretestuose, questo è il punto di partenza ideale. È un disco curato, prodotto con attenzione, dove la tecnica non soffoca il contenuto. C’è la distorsione, ma — come detto — non il metal che troppo spesso era diventato la gabbia dorata della musica strumentale per chitarra. Ci sono virtuosismi, ma sempre al servizio del gusto. Non ci sono eccessi di autocelebrazione né le stravaganze di molti colleghi — da Malmsteen a Allan Holdsworth, fino allo stesso Steve Vai nei momenti più cervellotici e visionari. Satriani resta nel mezzo: elegante, coerente, umano. Nel pieno della stagione più esasperata del virtuosismo, Joe Satriani sceglie di essere musicale. Con FLYING IN A BLUE DREAM dimostra che la chitarra può ancora raccontare tutto, anche senza parole.


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