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Il ritorno alla popolarità di Bowie con l'alienazione di Scary Monsters

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Author image Gianluigi Riccardo

12 settembre 2025 alle ore 14:25, agg. alle 14:53

Usciva il 12 settembre del 1980 Scary Monsters (and Super Creeps), l'album che vide Bowie allontanarsi dalla sperimentazione e riappropriarsi della forma canzone

Nel settembre del 1980, David Bowie pubblica “Scary Monsters (and Super Creeps)”, un album che rappresenta una svolta potente e definitiva.

Non solo chiude la trilogia berlinese iniziata con Low (1977), ma segna anche il passaggio traumatico e geniale verso un nuovo decennio.

In un momento in cui il panorama musicale cambia pelle – il punk è ormai dissolto e la new wave si fa spazio – Bowie, come spesso nella sua carriera, anticipa la curva. E lo fa con uno dei suoi dischi più iconici, corrosivi e allo stesso tempo accessibili.

Alla fine degli anni ’70, Bowie è reduce da una delle fasi più sperimentali della sua carriera. Insieme a Brian Eno e Tony Visconti, ha dato vita a una trilogia in cui ha disintegrato e riformulato la forma canzone: Low, "Heroes" e Lodger. Lontano dagli eccessi di Los Angeles, rifugiato tra Berlino Ovest e Parigi, si è reinventato nel minimalismo, nell’elettronica e nella frammentazione sonora.

Ma con Scary Monsters il camaleonte cambia di nuovo pelle.

In fuga verso le sperimentazioni berlinesi

Verso la metà degli anni ’70, David Bowie ha attraversato due fasi intense e diverse: il glam rock iniziale (Ziggy Stardust, Aladdin Sane), poi la fase più soul / “plastic soul” (Young Americans) fino al freddo magnetismo di Station to Station, alter ego del Thin White Duke incluso una forte influenza del trance e del Krautrock. A Los Angeles, Bowie era precipitato in una spirale di eccessi con droghe pesanti; la fama iniziava ad avere un peso psicologico che si rifletteva nella sua produzione artistica. Sente di dover “scappare” da sé stesso, da quella immagine, da quegli ambienti.

Dal 1976 in poi, Bowie si trasferisce progressivamente a Berlino — allora città divisa, carica di tensione politica, ma anche centro culturale minuscolo e pulsante, vicino al confine, pieno di zone crepuscolari, club sperimentali, arte visiva, pittura espressionista, mutamenti sociali.

Qui si “disintossica”: lascia in parte gli eccessi californiani, riduce il consumo di cocaina, si affida ad uno stile di vita più sobrio, a una dimensione più intima ma anche artistica e visionaria. Nascono così gli esperimenti con Brian Eno: Low (1977), “Heroes” (1977) e Lodger (1979) — quella che viene chiamata la trilogia berlinese


Una nuova faccia per gli anni '80

All’inizio del 1980, Bowie era in una fase di cambiamento personale: si separa legalmente da Angie divorziando, sta cercando di rileggere la propria identità. Non è più contento di restare nell’ombra sperimentale, vuole un ritorno all’impatto, all’immediatezza. Vuole “colpire in faccia”, come dicono lui stesso e i collaboratori. Funziona quasi come un reset: acquisire freschezza, vitalità.

Allo stesso tempo, Bowie divide il suo tempo fra varie città: Londra, Svizzera, New York. La vita newyorkese, con il suo rumore, le sue contraddizioni, i fermenti artistici del post-punk, della scena sperimentale, dei club, diventa una spinta – un’energia che lui non aveva assorbito negli anni berlinesi. È come se avesse bisogno di incontro con il mondo esterno, non tanto per vanità, ma per rigenerarsi.

Quello che in programma per l'ingresso negli anni '80 con Scary Monsters non è più il Bowie alieno, né il Thin White Duke.

Ora appare truccato come un clown malinconico – l'immagine del Pierrot sulla copertina è emblematica. Non è un personaggio come Ziggy, ma una maschera che riflette il caos interiore, la tensione tra la voglia di libertà e la pressione commerciale.

Bowie è al bivio: vuole scrollarsi di dosso l’etichetta dell’artista sperimentale per tornare a parlare a un pubblico più ampio, senza però svendersi. La missione, seppur difficile, sarà compiuta in pieno.



Smussare i bordi

Da questa trama nascono le condizioni che lo portano a concepire Scary Monsters. Bowie sa di aver speso molto della sua energia creativa in territori “di frontiera”, dove la sperimentazione sonora quasi astratta, la frammentazione, l’ambient, il minimalismo dominavano.

Ora vuole prendere tutte quelle esperienze e “smussare i bordi”: restituire al pubblico qualcosa che abbia un proprio impatto, pulsante, riconoscibile, ma senza perdere l’aria inquieta, la tensione, la visione.

Vuole brani con inizio e fine netti, con strutture più codificate, con linee melodiche‑riconoscibili, anche se con stratificazioni complesse. Vuole un suono che guardi avanti, verso gli anni ’80 – la new wave, il post-punk, le possibilità offerte dalla tecnologia — ma che sia anche un ponte dal suo passato.

Nel momento in cui Scary Monsters prende forma, Bowie già intravvede che la “sperimentazione pura” non è sufficiente per sostenersi: è una bella cosa, ma può isolare. Vuole ricondurre il suo lavoro a qualcosa di più “sociale” (nel senso di condivisibile) ma anche di nuovo: il pop che fosse contemporaneo, moderno, che parlasse al suo tempo senza cedere alla banalità.

Questo spiega anche la scelta collaborativa: il team storico (Visconti, Alomar, Davis, Murray) che lo conosce bene ma anche ospiti che portano freschezza (giovani musicisti, chitarristi innovativi, synth più complessi). Vuole “saper scegliere” arrangiamenti diversi, lasciare spazi per l’improvvisazione, per il rumore, per il tagliente – ma anche padronanza.

Le chitarre diventano protagoniste, soprattutto quelle di un Robert Fripp (King Crimson) in stato di grazia: le sue distorsioni taglienti suonano come lamiere contorte, definendo il tono inquietante e nervoso dell’album.

In studio ci sono anche Chuck Hammer (chitarra sintetica) e Pete Townshend, che regala un assolo nel brano “Because You’re Young”.

Le sessioni di registrazione, tra la Power Station di New York e il Good Earth Studio di Londra, durano diversi mesi: Bowie è metodico, lucido, determinato a costruire un’opera che possa coniugare urgenza rock, ricerca sonora e immediatezza pop.


I mostri della quotidianità

L’intero disco è pervaso da un senso di tensione, disillusione e critica sociale. Bowie guarda agli anni ’80 con diffidenza: anticipa l’estetica post-moderna, ma ne denuncia anche la superficialità. L’identità frammentata, la paura della follia, la dipendenza, la manipolazione dei media – tutti temi che si intrecciano in un affresco cupo ma lucidissimo.

Il clown triste in copertina, ispirato al Pierrot lunaire, è la perfetta rappresentazione visiva di tutto questo: non c’è più spazio per i miti spaziali, ma solo per l’essere umano, vulnerabile, ferito, ma ancora capace di creare arte.

I testi di Scary Monsters (and Super Creeps) sono fra i più crudi, ambigui e psicologicamente disturbati dell’intera discografia di David Bowie. A differenza della trilogia berlinese, in cui l’astrazione e l’ermetismo dominavano, qui Bowie torna a raccontare storie – spesso frammentate, ma più riconoscibili – in cui si avverte un conflitto profondo tra individuo e società, tra maschera e identità reale, tra razionalità e discesa nell’inconscio.

L’intero disco è attraversato da un senso di alienazione esistenziale: personaggi perduti, paranoici, vittime o carnefici, immersi in scenari urbani allucinati e post-industriali.

Bowie riflette sui danni della fama, sul deterioramento della psiche, sulla violenza psicologica dell’era moderna. Ma non lo fa mai in modo didascalico: la sua è una scrittura visionaria, spesso surreale, in cui il reale si deforma sotto pressione.



C'è poi un forte tema di ansia tecnologica e sociale, in linea con lo spirito della nuova decade che si apre. L’album prefigura l’alienazione urbana, la pressione dell'immagine, la perdita del contatto umano, la crisi della comunicazione autentica. Non a caso, Bowie affida grande importanza alla produzione visiva dell’album: dal video ipnotico e criptico di Ashes to Ashes alle fotografie promozionali in cui appare come un clown alienato, ogni elemento rafforza il senso di una società che si frammenta sotto la superficie scintillante dell’apparenza.

Infine, un filo sotterraneo lega tutto l’album: la paura della normalità. Le “super creeps” del titolo sono mostri, sì, ma non nel senso fantasy o gotico: sono maschere dell’ordinario, distorsioni del quotidiano. Bowie mostra come dietro la facciata del decoro si annidino ansie represse, violenza, disperazione. In questo, l'album parla più al presente che al suo tempo: anticipa temi che oggi, nell’era digitale, ci appaiono più che mai centrali.

Scary Monsters (and Super Creeps) debutta al numero 1 in UK e al numero 12 negli Stati Uniti, diventando uno degli album più venduti di Bowie fino a quel momento. Ma il suo impatto va oltre le classifiche: è il disco che lo consacra come artista “popolare ma non pop”, in grado di parlare al grande pubblico senza rinunciare alla propria visione.

Molti critici lo considerano l’ultimo grande album “classico” di Bowie, almeno fino a Blackstar (2016). È il ponte tra l’artista sperimentale degli anni '70 e il performer globale degli anni ’80.

Dopo questo disco, Bowie firmerà un contratto multimilionario con la EMI e si lancerà nel successo mainstream di Let’s Dance (1983). Ma la furia creativa e l’inquietudine visionaria di Scary Monsters resteranno un unicum.

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