If You Want Blood, a lezione di rock'n'roll dagli AC/DC
13 ottobre 2025 alle ore 11:49, agg. alle 13:12
Nell'ottobre del 1978 gli AC/DC pubblicavano il primo e unico album dal vivo con Bon Scott, una lezione di rock'n'roll furioso e senza compromessi
Il 13 ottobre del 1978 gli AC/DC pubblicavano il loro primo album dal vivo "If You Want Blood (You've Got It)", registrato alcuni mesi prima all'Apollo Theatre di Glasgow, Scozia.
Del resto, gli AC/DC, si sono formati nei primi anni Settanta in Australia ma con radici che affondano anche da quelle parti. Bon Scott era nato a Forfar, mentre Angus e Malcolm Young erano entrambi originari proprio di Glasgow, prima che le loro famiglie si trasferirsi dalla parte opposta del mondo.
Nel tardo aprile del 1978, gli AC/DC erano una macchina lanciata a tutta velocità ma con un motore ancora da rodare completamente, seppur già potentissimo: il tour di Powerage li aveva messi su un palcoscenico internazionale sempre più grande, la scalata verso la vetta, pur con qualche intoppo, proseguiva a ritmo spedito.
È in questo momento che il primo album live del quintetto, If You Want Blood (You’ve Got It), fa breccia tra le cronache del rock come una testimonianza cruda, senza fronzoli, della loro essenza: sudore, distorsione, chitarre e potenza a profusione
Avevano appena pubblicato Powerage, un disco che molti oggi considerano uno dei loro lavori migliori in studio per coerenza, atmosfera, riff e songwriting.
Il tour in supporto al disco li stava portando in giro per Regno Unito, Europa e altrove, testando pezzi che avrebbero fatto la storia.
Gli AC/DC erano in uno stato di grazia: non ancora nell’olimpo commerciale statunitense, ma con autorevolezza crescente tra gli appassionati e la critica rock.
Lo show all'Apollo Theatre di Glasgow
Inizialmente si stava pensando anche una raccolta “best‐of” chiamata 12 of the Best, ma alla fine la band – o la casa discografica – decise che un album dal vivo avrebbe raccontato meglio cosa gli AC/DC fossero realmente. Ovvero una forza della natura inarrestabile, un fulmine rinchiuso in una bottiglia di birra, pronto ad esplodere appena stappata.
La sera prescelta fu il 30 aprile 1978, al Glasgow Apollo in Scozia. Quasi un ritorno “a casa” per Bon Scott e i fratelli Young. Il pubblico era caldo, il locale relativamente intimo (qualche migliaio di persone), l’atmosfera familiare ma anche elettrica: sapevano che stavano per assistere a qualcosa che avrebbe lasciato il segno.
Quella serata fu recuperata per registrare i brani che sarebbero finiti nell’album: praticamente tutto il disco è tratto da quel concerto.
Non tutte le parti dell’intero show, però: alcuni pezzi eseguiti quella sera furono tagliati o alterati per la versione finale. Ad esempio “Dog Eat Dog” suonata quella notte non finì nella prima versione del disco (anzi, come b‐side in Australia) e l’encore “Fling Thing/Rocker” venne in parte modificato, togliendo Fling Thing o tagliando il lungo assolo di Angus che cammina sopra il pubblico con una chitarra wireless.
L’album fu prodotto da Harry Vanda e George Young (zio dei Young), che avevano prodotto già i primi album della band, fino a quel momento. If You Want Blood segna l'unico disco live/studio sotto la loro produzione nell’era di Bon Scott.
Una serie di classici furiosi
Dieci tracce per circa 52‐53 minuti. Il set è una selezione quella notte senza eccessi, minimalista nel senso di “niente riempitivi”, ma potente: Riff Raff, Hell Ain’t a Bad Place to Be, Bad Boy Boogie, The Jack, Problem Child, Whole Lotta Rosie, Rock 'n’ Roll Damnation, High Voltage, Let There Be Rock, Rocker.
C’è la fisicità della performance: versi gutturali di Bon, chitarre incazzate, feedback, assoli che mostrano Angus in piena furia, la batteria e il basso che spingono, il pubblico che risponde urlando, battendo le mani, facendo eco. Non è un live perfetto nel senso di studio, ma è proprio questo che lo rende autentico: imperfezioni incluse, il suono spesso sporco, e il feeling che è palpabile.
Tra le tante storie legate a quel concerto, ce n’è una che racconta perfettamente lo spirito della serata. Durante The Jack, Bon Scott si diverte a interagire col pubblico, chiedendo con il suo solito sorriso sornione: “Any virgins in Glasgow?”. La risposta della folla è un boato unico, tra risate e urla. È una scena che dice tutto di lui: provocatorio, ironico, ma sempre magnetico.
Angus, in più di un’intervista, ha descritto quella notte come “una specie di tempesta elettrica”. Disse che sentiva il palco vibrare sotto i piedi, il pubblico urlare come in trance, e che suonare lì era “come stare dentro a un corto circuito umano”.
Ci sono anche i racconti del backstage: Bon che si scalda la voce con whisky e battute, Malcolm che accorda la chitarra nel silenzio, e un tecnico che ricorda come Angus, a fine concerto, fosse così esausto da restare disteso per terra, ancora con la SG in mano, come nella copertina. E in effetti, quella foto – con Angus impalato dalla sua stessa chitarra – nasce proprio da lì: dall’idea di rappresentare, in maniera ironica e un po’ macabra, quanto “sangue” davvero davano sul palco.
L'importanza del live degli AC/DC
If You Want Blood (You’ve Got It) è una fotografia di un momento preciso, quasi una soglia tra due epoche. Da una parte c’è la band ancora grezza, viscerale, con il sound ruvido dei pub australiani e dei palchi minori. Dall’altra, quella che di lì a poco diventerà un fenomeno mondiale con Highway to Hell.
È l’unico live ufficiale pubblicato quando Bon Scott era ancora vivo, e per questo ha un valore quasi sacro. Cattura la sua voce nel momento di massima potenza, la band nel suo stato più coeso e selvaggio. È un disco che ha insegnato a tutti che gli AC/DC non erano “solo” una band da studio: erano, prima di tutto, una macchina da palcoscenico.
La copertina è già parte della leggenda: Angus Young impalato dalla chitarra (front), sul retro, disteso a terra “ferito” dalla sua SG; un’immagine volutamente provocatoria, sanguigna, in grado di trasmettere visivamente l’idea di sacrificio, di rischio, di rock’n’roll che spalanca il petto.
Non a caso, molti musicisti hanno citato quel live come un punto di riferimento: Dave Grohl lo definì “l’essenza stessa di cosa dovrebbe essere un concerto rock registrato”. Persino Keith Richards, raccontano, rimase colpito dalla loro potenza in quel periodo, definendo Powerage e il suo tour “una lezione di rock’n’roll senza compromessi”.