History

Foo Fighters, 30 anni di rinascite

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Author image Gianluigi Riccardo

08 luglio 2025 alle ore 13:12, agg. alle 13:44

I Foo Fighters compiono 30 anni: una carriera di continue rinascite per Dave Grohl e la sua idea di rock

I Foo Fighters hanno condiviso solo pochi giorni fa un nuovo brano, Today's Song, una canzone che arriva in un momento inaspettato e di festeggiamenti.

Sono 30 le candeline da spegnere quest'anno per Dave Grohl che si appresta a celebrare l'ennesima rinascita di un progetto che è nato per superare un dramma e che di crisi ne ha affrontate numerose lungo la strada.

Una creatura, i Foo Fighters, che hanno permesso a Grohl di essere riconosciuto come molto di più che il 'semplice' batterista dei Nirvana e che, anzi, gli ha consentito di superare lo spettro di Cobain e della sua precedente vita per creare altre mille storie e diventare lui stesso forte di ispirazione.

Al suo fianco gli amici di una vita e altri incontrati lungo la strada, come il fratello da altra madre Taylor Hawkins che - con la sua morte- pochi anni fa lo ha messo davanti ai fantasmi del passato ancora una volta, come quei film in cui lo stesso momento si ripete per sempre.

E ancora una volta Grohl si è rialzato, tra drammi e crisi familiari, aggrappandosi alla sua band.

Correva l’anno 1995. L’industria discografica mondiale era ancora orfana del grunge, e Seattle stava lentamente tornando a essere un posto qualsiasi. Pochi mesi prima, Kurt Cobain aveva messo fine alla sua vita, lasciando dietro di sé non solo una generazione smarrita ma anche una band, i Nirvana, che per molti rappresentava un punto di non ritorno nella storia del rock.

Dave Grohl — che dei Nirvana era il batterista giusto arrivato nel momento giusto — si ritrovò improvvisamente solo.

Il tempo di metabolizzare e leccarsi le ferite e Grohl cercò una nuova voce, la sua, registrando da solo un demo, suonando ogni strumento.

La firma sul nastro aveva qualcosa di ironico e misterioso: Foo Fighters, un termine usato dai piloti della Seconda Guerra Mondiale per descrivere oggetti volanti non identificati. Da semplice valvola di sfogo personale, il progetto si trasformò presto in una band vera e propria. Trent’anni dopo, è ancora qui. E riempie stadi.


Dalla fine all’inizio: la genesi dei Foo Fighters

Quando Grohl mise piede per la prima volta in studio dopo la morte di Cobain, non aveva grandi aspettative. Aveva bisogno di suonare, di buttare fuori tutto quello che aveva dentro. Il dolore, la frustrazione, il senso di colpa. In pochi giorni incise 15 tracce su una cassetta che iniziò a circolare nell’ambiente sotto traccia. Il passaparola fu immediato, e la voce si sparse: quel tizio dei Nirvana ha fatto un disco tutto suo, ed è una bomba.

Fu così che nacque il primo disco dei Foo Fighters, omonimo, pubblicato nel luglio del 1995. Un’opera figlia di un’urgenza creativa, ma che non aveva ancora una vera band dietro.

Per portarlo in tour, Grohl mise insieme una formazione composta da Pat Smear - l'ex Germs diventato il quarto Nirvana - , Nate Mendel al basso e William Goldsmith alla batteria. Ma le cose, come spesso accade, non andarono lisce.

L'accusa di tradimento e la consacrazione britannica

Agli occhi di molti fan hardcore dei Nirvana, Dave Grohl aveva osato troppo. Non solo era andato avanti, ma lo stava facendo con musica “troppo accessibile”, melodica, quasi pop in certi momenti. Dove erano finiti il disagio, la rabbia, la cruda autenticità del grunge?

Le critiche più feroci arrivarono da casa, dagli Stati Uniti, ma dall’altra parte dell’oceano, nel Regno Unito, i Foo Fighters trovarono una seconda casa. Lì furono capiti, accettati e soprattutto celebrati.

Fu in Inghilterra che la band iniziò a riempire i club e poi i palazzetti, ben prima che il pubblico americano si decidesse a dar loro una vera chance. E ironicamente, fu proprio grazie a quella distanza che i Foo Fighters si rafforzarono: potevano esistere senza l’ombra dei Nirvana. O quasi.

Alti, bassi e una fratellanza rock’n’roll

Nel corso degli anni, la line-up dei Foo Fighters è cambiata e un cambio è stato cruciale: quello di Goldsmith che, durante le registrazioni di "The Colour and The Shape" lascia la band e viene sostituto da Taylor Hawkins, all'epoca in forze alla live band di una Alanis Morrissette in rampa di lancio.

Cambiò tutto per la band e per Grohl che si trovò ad avere in squadra non solo un batterista entusiasmante ma un amico fraterno.

E proprio lui, nel 2022, lo metterà di nuovo davanti al passato, scomparendo troppo giovane poche ore prima di salire sul palco; un altro lutto difficile da elaborare, ma che non ha spezzato l’equilibrio umano della band.

Ci sono stati momenti difficili: incomprensioni interne, cambi di formazione, stanchezza da tour, esperimenti musicali che hanno diviso la critica. Ma c’è sempre stata anche un’energia viscerale che ha tenuto uniti i Foo Fighters.

Non solo colleghi, ma amici. Compagni di viaggio, nel senso più autentico del termine.

E poi ci sono stati i trionfi. Gli album multiplatino, i Grammy, i concerti negli stadi gremiti. I Foo Fighters sono diventati una delle più grandi rock band del nostro tempo senza mai perdere il contatto con le radici, con l’istinto, con l’urgenza di dire qualcosa — anche solo con tre accordi e un ritornello urlato a squarciagola.


I 5 dischi fondamentali dei Foo Fighters


1. “Foo Fighters” (1995)

L’inizio di tutto. Un disco nato dalla solitudine, dalla perdita, ma anche da una speranza testarda. Registrato quasi interamente da Grohl, è un album che porta i segni della genesi: urgente, spontaneo, a volte grezzo. Brani come This Is a Call, Big Me e Alone + Easy Target mostrano già un talento melodico che spiazza chi si aspettava solo un grunge 2.0. Nonostante le critiche, il disco riceve ottime recensioni e pone le basi per tutto ciò che verrà dopo. Un disco che, a distanza di trent’anni, suona ancora fresco e sincero.

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2. “The Colour and the Shape” (1997)

Il vero salto di qualità. È qui che i Foo Fighters diventano una band vera e propria. Dopo il successo del primo disco, Grohl prende in mano la situazione e, con il produttore Gil Norton, costruisce un album più ambizioso e strutturato. Everlong, My Hero, Monkey Wrench — sono inni generazionali. Canzoni che diventano colonna sonora di film, di adolescenze, di vite. Ma non tutto fu semplice: durante la registrazione, William Goldsmith abbandona la band per divergenze creative. Grohl rientra in studio e registra di nuovo tutte le batterie. Un segno della sua visione chiara, a volte anche inflessibile.


3. “There Is Nothing Left to Lose” (1999)

Il disco della rinascita e della maturità. Dopo anni di tensioni e cambi di formazione, i Foo Fighters decidono di registrare il disco in casa, in uno studio improvvisato in Virginia. Il risultato è un album più morbido, riflessivo, con sonorità più pop-rock ma mai scontate. Learn to Fly diventa una hit mondiale, il video con Jack Black è iconico. Ma ci sono anche perle nascoste come Aurora, che Grohl ha sempre considerato una delle sue preferite. Il disco vince un Grammy e consolida lo status della band come presenza fissa nel panorama rock mondiale.




4. “Wasting Light” (2011)

L’album che dimostra che il rock analogico può ancora avere un impatto. Registrato interamente su nastro, nel garage di Grohl, con la produzione di Butch Vig (lo stesso di Nevermind), Wasting Light è un ritorno alle radici, ma con la consapevolezza di chi ha vissuto tutto. Rope, These Days, Walk — ogni traccia pulsa di energia, dolore, redenzione. L’album è un successo di critica e pubblico, vince altri Grammy e viene considerato uno dei migliori dischi rock del decennio. È anche il primo disco con Pat Smear tornato stabilmente nella band. Un cerchio che si chiude.


5. “But Here We Are” (2023)

L’album più recente, e forse il più doloroso. Arriva dopo la morte improvvisa di Taylor Hawkins, ed è un disco che parla apertamente di lutto, perdita, ricostruzione. Rescue Me, Under You, The Teacher — sono canzoni che colpiscono dritte al cuore, senza filtri. Per la prima volta dopo anni, Grohl registra di nuovo la batteria su tutto il disco, in un gesto che ricorda l’inizio della storia. Ma qui non c’è solo sopravvivenza: c’è un nuovo inizio, una riflessione matura su ciò che si è perso e ciò che resta. Un disco necessario, umano, vero.



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