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Follow The Leader, il 'momento giusto' dei Korn

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Author image Gianluigi Riccardo

18 agosto 2025 alle ore 13:45, agg. alle 14:17

Come, con il terzo album "Follow The Leader", i Korn si dimostrarono i capi indiscussi del nu-metal, aprendo la strada ad una nuova era

Estate 1998. Il nu metal si prepara a dare il via ad una nuova ondata di rock americano a distanza di pochi anni dalla morte di Kurt Cobain, tramonto dell'epopea grunge.

È un’onda che sta per travolgere MTV, le radio e classifiche nel tentativo di riprendere il discorso cominciato dalla scena di Seattle e portare le chitarre nelle orecchie di milioni di ascoltatori.

Nel gruppo di testa che comanda la volata ci sono i Korn, con un album che fa da spartiacque: "Follow the Leader". Terzo capitolo, ma il primo vero colpo al cuore del grande pubblico. Numero uno in Billboard, cinque volte platino in patria, milioni di copie nel mondo.

Il titolo non è casuale: “segui il capo”. E in quel momento, i Korn sono i leader indiscussi della nuova scena.

Jonathan Davis, James “Munky” Shaffer, Brian “Head” Welch, Reginald “Fieldy” Arvizu e David Silveria avevano già due dischi alle spalle. Korn (1994) aveva tracciato la mappa: chitarre a sette corde accordate bassissime, basso slappato che sembrava un percussivo pugno nello stomaco, batteria serrata, e una voce che alternava confessioni bisbigliate a urla di pura catarsi.

Life Is Peachy (1996) aveva consolidato la formula, ma restava un lavoro di culto, amato soprattutto da chi viveva ai margini della scena mainstream. Con Follow the Leader, invece, decidono di prendersi tutto: la nicchia, il centro e i riflettori.

Il momento perfetto

Il 1998 è una sliding door per il rock alternativo. Il grunge ha perso la sua carica vitale, il punk revival sta già saturando, e l’industria discografica cerca disperatamente un nuovo volto da vendere alle masse.

Il nu metal, fino a quel momento una scena più “da strada” che da classifica, si sta facendo largo. I Korn ne sono i capofila naturali, ma attorno a loro si muovono band pronte al salto: Limp Bizkit, Deftones, Coal Chamber, Orgy. Tutti diversi tra loro, ma con un minimo comune denominatore: testi diretti, chitarre potenti, ritmi sincopati e una forte influenza della cultura hip hop — non solo musicalmente, ma anche nell’attitudine.

I Korn capiscono che è il momento di alzare la posta. Nasce così il Family Values Tour, un festival itinerante che parte proprio nel 1998, pensato per dare una casa e una visibilità concreta al crossover tra rap e metal. Non è un’operazione di marketing studiata a tavolino da un’etichetta: è la band che prende in mano il progetto e decide di portare in tour artisti affini, costruendo un evento che diventa vetrina perfetta per Follow the Leader e trampolino per una nuova generazione di band.

Nel frattempo MTV continua a dominare la cultura pop, e Total Request Live (TRL) è la vetrina più ambita da chi vuole entrare nelle stanze degli adolescenti americani.

I Korn, pur mantenendo il loro stile abrasivo e visivamente inquieto, riescono a trovare uno spazio lì dentro.

Lo faranno con i videoclip di Got the Life e Freak on a Leash, che non solo verranno trasmessi in heavy rotation, ma saranno letteralmente spinti fuori dal programma per eccesso di voti.

È il segnale definitivo: il nu metal non è più underground. È la nuova faccia dell’alternativo mainstream, esattamente come era successo al grunge.


Come nasce Follow The Leader

La scrittura dell’album inizia tra un tour e l’altro, nel periodo in cui la band gira costantemente l’America e inizia a capire quanto sia cresciuta la propria fanbase. Alcuni dei brani prendono forma sul tour bus, tra soundcheck improvvisati e jam registrate al volo. Ma è nella prima metà del 1998 che si entra nel vivo.

I Korn si chiudono agli NRG Recording Studios di North Hollywood, in California — un ambiente professionale, ma anche familiare, dove possono lavorare in libertà senza la pressione di una major alle spalle. Il clima creativo è intenso ma non teso: la band sa che sta per fare un salto e lo affronta con lucidità.

Per la prima volta, non c’è Ross Robinson a dirigere l’orchestra. Dopo due album in cui il produttore era quasi un sesto membro non ufficiale, i Korn si affidano a una nuova accoppiata: Steve Thompson e Toby Wright.

Thompson aveva lavorato con artisti come Guns N’ Roses, Metallica e Soundgarden; Wright aveva già esperienza con Alice in Chains. Insieme aiutano il gruppo a dare più corpo e definizione al suono, senza limare troppo il caos emotivo che li rende unici.

Brendan O’Brien, uno dei producer/mixer più influenti degli anni ’90, entra in gioco nella fase finale, curando il mixaggio da Atlanta (Southern Tracks). La sua impronta è evidente: i brani mantengono l’impatto fisico delle origini, ma con una pulizia e una separazione degli strumenti che rende il tutto molto più efficace sulle radio FM e nei grandi impianti live.

Un altro dettaglio simbolico: l’album non inizia dalla traccia 1, ma dalla 13. I primi dodici “slot” sono vuoti, solo pochi secondi di silenzio, un espediente volutamente spiazzante.

Si è spesso parlato di un legame con la dedica a “Justin”, un giovane fan terminale cui è intitolata una delle canzoni più crude dell’album. La verità è che i Korn vogliono mettere il loro pubblico in uno stato d’animo particolare fin da subito: aspettati l’inaspettato, anche quando non succede nulla.



Il suono e le parole

Se i primi due album dei Korn erano un urlo grezzo e disturbante, Follow the Leader è quello in cui la band affina i propri strumenti — senza addomesticarsi. Il suono resta abrasivo, ma più controllato.

I riff di Munky e Head si muovono come lame a zig-zag, creando pattern ipnotici che alternano groove a esplosioni di distorsione pura. Il basso di Fieldy è protagonista assoluto: slap ossessivo, quasi funky, ma incollato ai bpm della batteria con una precisione chirurgica. David Silveria, spesso sottovalutato, firma forse la sua prova migliore: le sue linee sono pensate per far muovere, non solo per sostenere gli altri.

Dal punto di vista vocale, Jonathan Davis tocca un nuovo picco. Il suo modo di cantare — una miscela di sussurri, parlato, grida e pianto isterico — è ormai riconoscibile a orecchio, ma qui aggiunge nuove sfumature.

Le melodie sono più articolate, i ritornelli più accessibili, ma ogni frase è ancora immersa in un’emotività violenta. Il flusso dei testi, come sempre, non è mai solo denuncia: è autoanalisi, psico-dramma, diario e liberazione.

I temi restano quelli del disagio profondo: abusi subiti, isolamento, identità spezzate, rabbia repressa. Ma con Follow the Leader, i Korn riescono a far diventare questi contenuti parte di un discorso più ampio, collettivo. Non è più solo il dolore di Davis, è quello di un’intera generazione che si è stancata di sorridere in playback. E questo legame emotivo è la chiave del successo del disco.


La Korn Kampaign e il successo di Follow The Leader

I Korn costruiscono attorno a quel momento un vero e proprio evento culturale. Nasce la Korn Kampaign, un tour promozionale ispirato alle campagne presidenziali americane. Pullman brandizzati, incontri con i fan, comizi improvvisati in radio locali, conferenze stampa fuori dalle logiche classiche.

Si tratta di un modo per cementare il rapporto diretto con il pubblico, come se la band stesse dicendo “Siamo qui, con voi, non sopra di voi”. È anche un’anticipazione di come, nei decenni successivi, l’autenticità e la community diventeranno il cuore pulsante di ogni fandom.

I numeri parlano chiaro: Follow the Leader debutta al primo posto della Billboard 200 con oltre 268.000 copie vendute nella prima settimana. È un risultato clamoroso per una band così estrema nei suoni e nei temi. In pochi mesi, l’album diventa cinque volte disco di platino negli Stati Uniti, vendendo oltre 14 milioni di copie nel mondo.

MTV manda in rotazione continua i video di Freak on a Leash e Got the Life, i fan aumentano esponenzialmente, e le etichette iniziano a cercare disperatamente la “prossima band alla Korn”. Ma la formula è difficile da replicare, perché non si tratta solo di suono: è un equilibrio tra autenticità, innovazione e una certa dose di disagio irrisolto che non si può imitare a tavolino.

L’impatto dell’album si sente ovunque. Da lì a poco, il nu metal diventa la corrente dominante del rock alternativo americano: le major investono pesantemente nel genere, nascono nuove band ogni mese, e per un periodo — tra il 1998 e il 2002 — sembra che tutto debba passare attraverso quel filtro sonoro fatto di riff roboanti, ritornelli melodici e testi cupi. Ma anche se il genere conoscerà presto il suo declino commerciale, l’influenza di Follow the Leader resta viva.

Per i Korn, quell’album è insieme un punto di arrivo e un trampolino. Dopo Follow the Leader arriveranno altri successi, crisi, abbandoni e ritorni. Cambieranno pelle più volte, affronteranno il passare del tempo con alterne fortune. Ma ogni volta che si parla di loro, si torna lì: al 1998, all’anno in cui una band traumatizzata e rumorosa si prese la scena.

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