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Extreme e Pornograffitti: la svolta funk metal di una band “nata vecchia” ma destinata al successo

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Author image Gianni Rojatti

04 luglio 2025 alle ore 12:05, agg. alle 13:30

Dagli esordi fuori tempo massimo al successo globale di Pornograffitti: gli Extreme conquistano il rock con funk metal, tecnica e una incredibile balla acustica

Gli Extreme debuttano a fine anni ’80 con un suono già fuori moda: troppo tecnici per il grunge, troppo pop per l'alternative. Eppure Gary Cherone alla voce e Nuno Bettencourt alla chitarra trasformano quel mix anacronistico in una proposta sorprendente.

Con il secondo album PORNOGRAFFITI (1991), la band scopre la chiave: funk metal groovoso, assoli pazzeschi e la hit acustica “More Than Words” che li consacra. Una storia di attitudine, talento e ostinazione, raccontata nel solco di una carriera fuori da ogni logica di mercato.

Talento e motivazione

In vista del prossimo tour italiano, Radiofreccia ha recentemente pubblicato un’intervista di Gianluigi Riccardo, davvero appassionata e interessante, a Nuno Bettencourt, chitarrista e leader degli Extreme. È un’intervista che trasuda una grande passione per la musica, intesa come voglia di imbracciare il proprio strumento, scrivere le proprie canzoni, salire sul palco, vivere la vita da band.
Una ricetta, questa suggerita da Nuno, che va oltre ogni moda, tendenza, età o successo. Quasi che non esista un’altra vita possibile per chi nasce con questo tipo di vocazione e talento. Perché la storia di Nuno Bettencourt e degli Extreme sembra proprio questa: quella di un chitarrista animato non solo da un talento stupefacente, incommensurabile, ma anche da una motivazione incrollabile. Qualcuno che non ha mai preso in considerazione alternative al suonare la musica che più lo rappresentasse.
Questo va detto perché gli Extreme sono una di quelle band “nate vecchie”: e per questo va dato loro il merito di essersi ritagliati uno spazio importante nella storia del rock, pur senza mai beneficiare di armonia e coesione tra la loro proposta stilistica e quanto la scena musicale di allora proponeva. Quando, infatti, gli Extreme debuttano con un album omonimo nel 1989, sono una delle sintesi più brillanti e meglio suonate di quella scena hard rock patinata e super tecnica fiorita sulla scia del successo dei Van Halen. Sono glam nel look, quasi heavy nella pronuncia, piuttosto pop nelle melodie, ma soprattutto incentrati — nel songwriting e negli arrangiamenti — sulla figura del loro guitar hero, vero perno attorno a cui la band è costruita: Winger, Danger Danger, White Lion, Ratt, Nitro, David Lee Roth’s Band...


Bravi ma vecchi

Gli Extreme degli esordi sono davvero perfetti, e il giovanissimo Nuno è un enfant prodige: non solo è devastante dal punto di vista tecnico, ma ha gusto, groove, inflessioni bluesy, un suono gigantesco, talento nella scrittura. Tutti quegli ingredienti che tradiscono una vera anima da musicista, chitarrista da band e non mero virtuoso circense. C’è un pezzo su tutti per capire l’anima di quel disco: “Mutha (Don’t Wanna Go To School Today)”. Intro strumentale da mascella a terra; melodie super solari, quasi beatlesiane, con arrangiamenti barocchi che celebrano un amore autentico per i Queen, e un incedere hard rock massiccio, con i suoni di batteria e chitarra distorta più cazzuti del pianeta. Peccato che, a due anni dall’uscita di Appetite for Destruction (1987) dei Guns N’ Roses e nello stesso anno della rivoluzione di Bleach dei Nirvana (sulla scia di altri dischi clamorosi come Stone Roses, Jane’s Addiction, Pixies), il rock chiedesse ben altro: si percepiva l’esigenza di un ritorno alla veracità, alla sporcizia di sangue, sudore e scale blues, a suoni e arrangiamenti più alternativi, ispirati al punk e al minimalismo. Gli Extreme, quindi, per quanto bravi da Dio, debuttano che sono già la cosa meno fresca e meno “di tendenza” su cui appoggiare la puntina del giradischi. Eppure riescono a vendere — proprio grazie a queste capacità strepitose e alla chitarra magica di Nuno — quel tanto che basta per arrivare al secondo disco. 
Ed è lì che succede la magia.


Funk Metal

Tra le tante nuove tendenze che scuotono il rock di quegli anni, c’è la passione fortissima per il crossover: quella vocazione del rock e del metal a contaminarsi e pasticciare con rap, funk, hip hop. Ci sono i RHCP, i Living Colour, i Faith No More… e gli Extreme, dalla loro, hanno — più o meno consapevolmente — un’arma segreta: il polso della mano destra di Nuno.
Un polso in grado di snocciolare, pur senza rinunciare alle coltri di distorsione da emulo di Van Halen, ritmiche funk incredibili. E Pornograffitti (1991), il loro secondo album, fa fiorire proprio questo aspetto: tutti i brani hanno un incedere funk e si inseriscono alla perfezione su un impianto rock che si fa ancora più duro ed heavy. 
In un attimo, in quella nuova scena, gli Extreme diventano la faccia di un nuovo approccio: il Funk Metal. Un’etichetta che li affranca dal bollino di sopravvissuti agli anni ’80 e li fa accogliere nei salotti più di tendenza della critica musicale. Il disco poi è clamoroso: produzione fresca, grandi pezzi, groove pazzesco, melodie e arrangiamenti di ispirazione Queen, e — senza esagerare — alcuni dei più incredibili riff di chitarra mai sentiti. Naturalmente, assoli shred da fuoriclasse.  “Decadence Dance”, “When I’m President”, “Get the Funk Out”, “It’s a Monster”: sono tutti capolavori. Uniscono il meglio dei suoni e della tecnica hard rock a inserti funk e rap, con un tiro ritmico irresistibile, sezioni di fiati centellinate ma armonicamente esplosive, parti vocali trascinanti. Solo così Pornograffitti si sarebbe già meritato un posto speciale tra i dischi più spaccaculo degli anni '90…
Ma un altro elemento incredibile svolta la nostra storia.


More Than Words” 

Come da tradizione di tante band hard rock anni ’80, anche gli Extreme colorano quel disco pieno di funk e metal a randello con una nota acustica e romantica: la deliziosa ballad “More Than Words”. 
Il pezzo ha un potenziale pop talmente forte che schizza in testa alle classifiche.
 Anche perché, in un’epoca in cui il grunge riportava in auge l’approccio più unplugged e minimale del rock, quel brano è perfetto: solo cantante e chitarrista. Voce e chitarra acustica. E nient’altro. “More Than Words” fa girare la testa e battere il cuore anche a molti fan del grunge e dell’alternative, che fino a quel momento non avrebbero ascoltato gli Extreme nemmeno sotto tortura.
 E, naturalmente, quel successo porta un pubblico diverso, enorme e generalista, a una band che — con la sua semplice pronuncia rock, metal e virtuosistica — da sola non ci sarebbe mai arrivata.


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