Dall'addio dignitoso di David Coverdale una riflessione su quando dire addio
27 novembre 2025 alle ore 11:10, agg. alle 12:47
La voce dei Whitesnake ha dato l'addio per 'usura dello strumento'. Una scelta dignitosa, a differenza di molti
Un ultimo bis, l’inchino e poi discendi le scalette. Basta. Si esce di scena dignitosamente, prima di diventare fantasmi o la parodia di se stessi. David Coverdale ha dato una lezione di stile a tanti colleghi, accomiatandosi dal pubblico con quel pezzo live, “Fare Thee Well”, che era un eloquente saluto, una sigla di chiusura, un passaggio di stato.
A 74 anni, l’ex vocalist di Whitesnake e Deep Purple ha denunciato l’usura del suo “strumento”, le corde vocali logorate da mezzo secolo di metallo raschiagola e da vicissitudini cliniche.Mestieraccio usurante, stare davanti a un microfono.
Un chitarrista, un tastierista e perfino un batterista possono tirare avanti finché hanno benzina in corpo e le dita scorrono agili. Un frontman sa che, per quanti tagliandi possa fare, la sua natura umana gli impone una scadenza.
Il rock più energetico è “da consumarsi preferibilmente entro” una data in cui non si corra il rischio di soccombere al confronto con quel che si è stati, la tua identità di giovane idolo che odierai, perché non ce la fai a tenere botta. Hai voglia a dire, a consolarti: la vecchiaia del cantante non è mai gloriosa come quella del filosofo o dello scrittore.
Il rock ci vuole immortali
La saggezza non è l’elemento primario del tuo codice artistico: devi metterci l’energia corrosiva, la canna, la furia, arrampicarti sulla nota più alta in nome e per conto del pubblico che ti vuole credibile, perché tu sei l’incarnazione del loro tempo “prime”, se cedi gli dimostri che stanno incanutendo pure loro. Un affronto e un’evidenza insostenibili.
Il rock ci vuole immortali, tutti, emendati e sottratti al trabocchetto degli anni che passano. Se l’eroe fatica a tenere il passo, meglio che si ritiri, anche contro la propria volontà, come certi campioni dello sport che insistono a passeggiare sul campo quando la loro età è raddoppiata rispetto al debutto.
Per questo, il ritiro di Coverdale è un episodio nobile, con una connotazione etica: per quanto forzato e inevitabile, è un passaggio di stato che diviene un apologo morale.
L’alternativa, del resto, è morire sul trono attorno al quale amici e ammiratori intonano il tuo de profundis quando ancora respiri o addirittura tenti di cimentarti in qualche canzone, come accaduto a Ozzy a Birmingham: ma lui l’aveva confessato: “Non so fare altro”, e allora era chiaro a tutti che quel mega evento fosse un funerale anticipato.
Plant, Dylan e altri fuori dalle logiche di mercato
Oppure, come nel caso di Robert Plant, resti in pista, ma smarcandoti dal diktat dei fans e dell’industria che ti vorrebbero inossidabile come nella golden age dei Led Zeppelin: no, ha detto Plant, lasciatemi invecchiare con grazia, duettare su classici del folk, country e del blues. Posso interpretare, giocare sulle sfumature, baloccarmi con le nuances dei pezzi.
E Dylan? Habeas corpus: è lui, ma che genio strategico in quel Neverending Tour che da decenni ha intrapreso per fare a pezzi, deliberatamente, il proprio mito. Una rivendicazione di somma libertà intellettuale e performativa: io Bob, vi dico che se volete il mio pupazzetto Sixties potete andarlo a comprare in ogni negozio di dischi. “Io non sono qui”, come in quel film dove degli attori lo incarnavano senza affatto somigliargli. Dylan (o Neil Young, se è per questo), hanno ritirato il “modello base” dal circo rock nel quale si rifiuta l’ageing: l’industria vuole venderti tonico, cazzuto e in forma come un ventenne. Chi accetta queste spietate regole d’ingaggio rischia di fare la figura del cappone strozzato.
Vedi Axl: i bookmakers non quotano più le sue stecche, il tour 2026 dei Guns potrebbe essere per lui una mezza agonia. D’altro canto, il business ti offre opportunità alternative, se non vuoi incorrere in figuracce live. Puoi confidare nel clamore generato da una tua dichiarazione a orologeria, mediaticamente potente, che ti metta al riparo da futuri inciampi.
Togliersi dalle scatole? Un dovere
Liam e “la pausa di riflessione” degli Oasis: per uno come il minore dei Gallagher, abituato da sempre a cazzeggiare sui social, è uno statement astuto. Torniamo l’anno prossimo nel resto del mondo? Magari pure in Italia, dove Roma e MIlano hanno già prenotato gli stadi? Chi può dirlo, fuck off, intanto ci fermiamo, se sarà uno stop definitivo lo dirà la Storia.
O il budget dell’impresario: nel frattempo noi Oasis ci siamo messi in tasca il tesoretto pattuito, da intascarsi a fine tour 2025. Ce l’abbiamo fatta, non ci siamo presi a chitarrate in faccia con Noel, dunque indicatemi la cassa e ciao.
Un “ritiro” o un bluff per far montare ulteriormente la panna delle aspettative, magari per creare hype e speculare sul caro biglietti? A occhio, i teppisti di Manchester non ne avrebbero bisogno. E intanto Liam rincara la dose con continue dichiarazioni ondivaghe sul futuro della band, perché pausa di riflessione sì, ma giocare al gatto e al topo con i fan è impagabile.
A chi fa notare che si è trattato del più grande tour della storia, il frontman degli Oasis risponde "fino al prossimo", sottolineando poi come non veda l'ora di esibirsi in Europa.
Come sia, la “sparizione volontaria” è di sicuro una ricarica per l’ego, per il narcisismo patologico dell’artista.
O una presa per il culo, come quella del sornione Vasco che nel 2011 spiazzò tutti con quell’annuncio: “Mi ritiro…da rockstar”. Ed è ancora lì con i suoi megapalchi da vate nazionale: non potrebbe farne a meno, del resto.
Di star che si defilano davvero dal fronte del palco ce ne sono poche: l’esempio virtuoso di Coverdale nel rock può fare il paio con quello della ragazza Ariana Grande, che ammette di non farcela a mettere in secondo piano la vita rispetto alla carriera. Sorella di fragilità di tanti emergenti teen tricolore, che scoppiano dopo un Sanremo da protagonisti.
Per i loro “nonni”, invece, togliersi dalle scatole sarebbe un dovere, senza perculare i loro seguaci a suon di patetici tour “d’addio” che durano almeno un lustro.
Ma si sa, la vanità è nella sentenza morettiana: “Mi si nota di più se non vengo o se vengo e sto in disparte?”.
Meglio farsi vedere, trattenere, che rischiare di non essere rimpianti quando un altro prenderà il tuo posto. O lo farà il tuo clone generato dall’Intelligenza Artificiale.