CRAWLER: la forza dell’imperfezione e della fragilità nella furia degli IDLES
12 novembre 2025 alle ore 12:00, agg. alle 12:53
Tra i solchi di CRAWLER, gli IDLES trasformano rabbia e rumore in fragilità e dettaglio: un viaggio nel suono imperfetto, caldo e profondamente umano
Dietro il rumore, i fruscii e la tensione di CRAWLER c’è una delle produzioni più affascinanti del rock recente: quella degli IDLES — Joe Talbot (voce), Mark Bowen e Lee Kiernan (chitarre), Adam Devonshire (basso) e Jon Beavis (batteria) — band di Bristol che con questo album, pubblicato il 12 novembre 2021, apre le porte a un nuovo linguaggio, dove l’urgenza punk incontra la sensibilità dello studio di registrazione.
Guidati dal chitarrista e co-produttore Mark Bowen e dal produttore hip-hop Kenny Beats, gli IDLES riscrivono il proprio codice: meno volume, più spazio, più coraggio nel suono. Il risultato è un disco sporco, umano, vulnerabile. Un laboratorio dove ogni fruscio, ogni imperfezione, diventa parte della musica stessa.
Da chitarrista a produttore
Con CRAWLER (2021) gli IDLES aprono una nuova fase della loro evoluzione. Dopo ULTRA MONO, apice della loro energia più dura e feroce, la band decide di cambiare prospettiva. L’isolamento imposto dalla pandemia viene vissuto come un’opportunità: costretti a rinunciare al tradizionale approccio live alla composizione, gli IDLES scrivono il nuovo materiale come un vero lavoro da studio, più articolato e stratificato, sfruttando tutte le possibilità offerte dalla tecnologia. Da questo processo nasce un linguaggio diverso: l’esuberanza caotica dei primi album si incanala in ritmi più dilatati, sospensioni e spazi sonori. Nella loro aggressività inconfondibile si aprono per la prima volta spiragli melodici e linee più seducenti. Non un ammorbidimento, ma un diverso modo di gestire la tensione. Il chitarrista Mark Bowen, da sempre più interessato al timbro e alla sperimentazione che alla pura tecnica, sceglie di assumere anche il ruolo di produttore. Dopo anni in cui aveva faticato a ritrovare in studio la forza e la profondità dei suoi suoni di chitarra, decide di passare “dall’altra parte del vetro”: un passo coerente con la sua natura di musicista curioso, appassionato di effetti, amplificatori e texture, sempre più coinvolto nella costruzione del suono nel suo insieme. Per questo nuovo assetto chiama al suo fianco Kenny Beats, produttore americano proveniente dall’hip-hop, genere in cui la definizione e la pulizia del suono sono un pilastro estetico. La collaborazione consente agli IDLES di uscire dai confini del punk e del post-punk, portando nella loro materia grezza una nuova attenzione alla precisione e all’equilibrio tra potenza e spazio. Negli anni la band aveva già lavorato con produttori di peso come Space (The Prodigy) e Nick Launay (Nick Cave & the Bad Seeds). Con CRAWLER la direzione cambia: Bowen e Kenny Beats costruiscono un suono che unisce la fisicità del rock all’attenzione maniacale per il dettaglio tipica dell’hip-hop, ispirandosi ai paesaggi sospesi dei Portishead e alle colonne sonore di John Carpenter — regista di "Halloween" e "Fuga da New York", ma anche autore di musiche sintetiche dal fascino cupo e cinematografico.
Joe Talbot: la voce al centro
Il faro creativo di CRAWLER è chiaro: dare più spazio alla voce e alla narrazione di Joe Talbot. Il cantante, per la prima volta, desidera cantare davvero, non solo urlare o declamare, e questo sposta l’intero equilibrio della band. Come osserva Bowen, non si può costruire un disco in cui la voce sia protagonista e mantenere un’estetica sonora satura e violenta come quella di ULTRA MONO. Se il canto deve respirare, anche basso, chitarra e batteria devono lasciare aria. La conseguenza è un approccio di scrittura e registrazione completamente diverso. Bowen e la band cercano un suono caldo, analogico, a metà tra il malinconico e il “rovinato”: come un vecchio nastro magnetico o un’audiocassetta consumata, con quel fruscio di fondo che racconta il tempo. Il loro motto in studio diventa “Hiss makes hits” — letteralmente, il fruscio fa i successi. I grandi dischi, dai Led Zeppelin ai Beatles, fino alla Motown, frusciano di imperfezioni. È proprio lì che sta la vita del suono. In questa ricerca arrivano a soluzioni estreme, come registrare le batterie su acetato. In pratica, il batterista Jon Beavis incide le proprie parti su un disco di prova, poi le riascolta e le suona sopra mentre l’acetato si consuma. A ogni riproduzione, il suono si degrada leggermente: le frequenze si impastano, le alte si smorzano, nasce un calore nuovo, fisico, vissuto. Questo colore — analogico, logorato, umano — diventa la cornice perfetta per i temi oscuri del disco: la dipendenza, la perdita, la morte sfiorata. Talbot canta di traumi personali e paure ereditarie, e CRAWLER avvolge tutto in un suono sporco, fragile, autentico. Poiché la voce di Talbot è il fulcro del progetto, le session ruotano intorno a lei. La band vuole che parole e dinamiche guidino tutto il resto. Talbot non è un interprete “da studio”: canta muovendosi, gesticolando, trasformando ogni take in una performance fisica. Servono microfoni resistenti, capaci di sopportare volumi altissimi senza rompersi, e un set-up che gli permetta di muoversi liberamente. I modelli più delicati vengono presto abbandonati: alcuni microfoni vintage, preziosi ma fragili, si rompono letteralmente durante le registrazioni. L’obiettivo di Bowen e Kenny Beats è permettergli di esprimersi al massimo, senza costrizioni. Gli danno microfoni solidi che può impugnare come fosse sul palco, rendendo la sua fisicità parte del suono stesso. Non si cerca la perfezione della performance, ma la sua autenticità. Qui il contributo di Kenny Beats è fondamentale. Nell’hip-hop, molti interpreti hanno grande efficacia e presenza, ma non sono cantanti nel senso tradizionale del termine: il produttore deve quindi saper costruire la magia nel montaggio, scegliendo, tagliando e incastrando le parti migliori. Kenny eccelle in questo. E quando un produttore abituato a estrarre oro da materiali grezzi si trova a lavorare con un cantante straordinario come Joe Talbot, il risultato è stupefacente: un incontro tra due virtuosi, uno della voce e uno del suono.
Una transizione meravigliosa
Questa attenzione alla resa sonora si riflette anche sugli strumenti. Chitarre e basso vengono registrati con lo stesso approccio diretto e fisico: si lavora sul suono alla fonte, scegliendo amplificatori e pedali in base alla risposta emotiva più che alla pulizia tecnica. Bowen cerca timbri caldi, sporchi, vissuti. CRAWLER è un disco di transizione per gli IDLES. Al momento dell’uscita ha spiazzato molti, abituati all’impatto brutale di ULTRA MONO, con i volumi portati al limite e i meter sempre in rosso. Ma è proprio questa distanza dalla furia che lo rende importante: è il momento in cui il gruppo decide di esplorare nuovi registri. E cosa c’è di più punk che chiamare un produttore hip-hop come Kenny Beats quando sei una delle band più feroci del panorama rock? Anche questa è irriverenza: la negazione dei cliché di genere e delle regole del “suono corretto”. Così come il punk ha sempre rifiutato il virtuosismo e la forma accademica, qui gli IDLES scelgono consapevolmente il suono “sbagliato”, i microfoni che distorcono, i bassi che si deformano, i timbri che si logorano fino a costruire un’estetica ruvida, imperfetta, ma coerente. È un album che rifiuta la pulizia e abbraccia l’imperfezione, costruendo un immaginario sonoro ruvido, inquieto e cinematografico. CRAWLER mostra un’altra faccia della band: capace di ammiccare ai Radiohead, evocare le dissonanze spietate dei Sonic Youth e le ombre malinconiche dei Joy Division. È un album che apre nuovi orizzonti espressivi e valorizza l’arte della produzione come linguaggio. Per musicisti e produttori è una palestra d’ascolto, per chi ama il rock è un invito a guardare oltre l’impatto e scoprire la sostanza dietro ogni scelta sonora. Da CRAWLER nascerà TANGK, la prova più matura e compiuta degli IDLES — ma tutto parte da qui.