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Cosa fa il rock mentre il rap scompare dalle classifiche USA?

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Author image Doctor Mann

06 novembre 2025 alle ore 11:10, agg. alle 11:30

Per la prima volta in 35 anni il rap è scomparso dalla Top 40 di Billboard. Intanto il rock sta a guardare o quasi. Quale il futuro del genere?

Il deserto del rock pare sterminato, attraversarlo sarà un’impresa. Ha suscitato clamore la scomparsa del rap dalle Hot 40 di Billboard, per la prima volta dal 1990.

Ma sull’autoestinzione del r’n’r e dei suoi derivati, in pochi hanno speso analisi sensate.

Zero band ad alto voltaggio nelle classifiche di vendita: siamo nell’era del basso impero pop, dove Taylor Swift o Sabrina Carpenter dominano la scena, accompagnate da una Tate McRae che – come dimostra il video di un suo concerto – non sa neppure da che parte impugnare un microfono.

Con un filo di perfidia potresti definirle le Vestali del Nulla. Presidiano un tempio al cui interno non divampa più il sacro fuoco della musica, almeno quella vera, bensì solo iperproduzione e astuta osservazione di un mercato in cui a creare bolle di streaming sono soprattutto le teen, protese verso modelli ispirazionali che vanno dalla Ragazza della Porta Accanto alla Smutandata.

È un dominio pop che sposta i Pil nazionali, il segmento della filiera su cui management e multinazionali investono, sapendo che dai maxilive alle piattaforme (i ricavi di Spotify hanno superato i 4 miliardi di dollari) questa sia l’unica strada percorribile.

Con buona pace di quei generi che sembrano filoni esauriti, spremuti fino all’osso.


Il sindaco di New York simbolico presidio del rap?

Non che il filone del rap sia totalmente inaridito – Kendrick Lamar sembra ancora ispirato, per dirne uno – ma la sua natura stradaiola, liberatoria, profondamente ‘race’, dopo decenni è divenuta un cliché, una banalizzazione discografica, un prevedibile gingillarsi con armi dialettiche spuntate.

Il rapper, anche di fama globale, è divenuto una macchietta, un’imitazione di se stesso, una figurina logora.

Che poi – come accaduto in questi ultimi giorni con la risalita nelle charts di Megan Thee Stallion – tenti un isolato recupero ci può stare, ma il segnale è forte e chiaro.

Nell’epoca in cui, nelle prime 40 posizioni di Billboard, ben 12 vengono conquistate da ‘The Life of a Showgirl’ di miss Swift, il presidio del rap sembra meglio occupato, simbolicamente, dal ‘rant’ del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, che nel discorso dopo la vittoria ha sollecitato Trump con quel ‘Turn the volume up’ che diresti perfetto per campionamenti e remix.

Del resto, Mamdani aveva tentato, da ventenne, la carriera artistica con il nome di Mr. Cardamom.

Meglio la politica, il rap è soccombente.



Il rock in bancarotta

Ma se l’area hip-hop vale un 24-25 per cento della filiera, il rock ha fatto commercialmente bancarotta.

Motivi? Difficile pensare a nomi emergenti che possano inventare qualcosa di dannatamente nuovo, sparigliando i codici consolidati dalla metà del secolo scorso e riconquistando la scena.

Il rock non è del tutto morto: il suo “decesso” viene periodicamente annunciato, poi qualche segnale di vita riaccende la speranza.

I Geese, ad esempio, possono conquistarsi un ruolo da apripista per la generazione dei ventenni: servono idee fresche, incoscienza e voglia di giocare sul suono con una versatilità inconfutabilmente indie.

Ai Maneskin, al netto delle capacità dei ragazzi romani, il business aveva concesso una prematura wild card: ma quando il sistema americano ti abbraccia, istantaneamente ti soffocherà in una gabbia dorata.

Gruppi emulativi dei fasti della golden age rock (come quello di Damiano) vengono proposti a un pubblico di acquirenti teen ai quali poi, eventualmente, riciclare i miti originari: Stones, Beatles, Springsteen e così via, attraverso megatour della senilità, documentari-rivelazione, biopic attoriali e cofanetti deluxe.



Il nuovo che non avanza

Mentre il Nuovo non avanza, anzi inciampa. Se è inconfutabile che il grande Rock abbia saputo sincronizzarsi, in passato, con i tempi in cui veniva suonato, innervando le grandi battaglie politiche, sociali e di costume degli anni tumultuosi del secondo Novecento, poi si è incartato su se stesso, rinunciando a spostare l’asse del pianeta, a rivoluzionare il comune sentire.

E da troppo tempo non inventa più qualcosa di davvero sconvolgente: i vecchi eroi consumano il crepuscolo personale vendendo i propri cataloghi o, se ne hanno ancora le energie, contentandosi di una residency a Las Vegas, rilucidando ossessivamente le cose migliori di un repertorio impolverato.

Come uscirne? Con spavalderia, forse, e un talento fuori dal comune.

Se anche gli artisti ‘rock’ si piegano alla dittatura di Tik Tok, dove le canzoni vengono sezionate per durare non più di un minuto, o alle sabbie mobili delle piattaforme, dove rischi di affondare in una playlist algoritmica senza lasciare traccia della tua presenza, allora non c’è da stupirsi se il deserto, davanti, pare troppo vasto per uscirne.

Serve un itinerario praticabile, da percorrere metro su metro facendosi sanguinare mani e piedi, confidando sulla scintilla del genio, senza perdersi dietro illusioni e miraggi dorati.

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