CODA, il finale postumo dei Led Zeppelin
19 novembre 2025 alle ore 13:04, agg. alle 13:21
Il 19 novembre 1982 i Led Zeppelin pubblicavano CODA, ultimo album realizzato con brani provenienti da epoche diverse della band
Quando Coda vide la luce nel novembre del 1982, i Led Zeppelin erano già storia. La fine improvvisa del gruppo, avvenuta due anni prima con la morte di John Bonham, aveva lasciato un vuoto difficile da accettare tanto per il pubblico quanto per gli stessi membri della band.
Quel disco, composto da otto tracce rimaste nei cassetti degli archivi, non nacque con l’ambizione di riaprire un percorso artistico, ma come un gesto di chiusura. Una parentesi finale, necessaria per rimettere ordine nel passato e accompagnare dignitosamente l’epilogo di una delle band più influenti del rock.
Il 1980 fu un anno traumatico. I Led Zeppelin arrivavano da un decennio estenuante di tour, dischi epocali, successi colossali e problemi personali sempre più pesanti.
Robert Plant era reduce dalla perdita del figlio Karac, Jimmy Page stava attraversando un periodo particolarmente difficile, John Paul Jones aveva espresso il desiderio di prendere le distanze dal circo del rock, mentre Bonham mostrava crescenti difficoltà fisiche e personali. Il morale era fragile, ma la band aveva comunque provato a rimettersi in moto per un nuovo tour statunitense.
La morte di Bonham, il 25 settembre 1980, rese impossibile andare avanti. Il comunicato della band del 4 dicembre 1980 fu lapidario e sincero: “Non potevamo continuare senza John.” Nessun sostituto, nessun tentativo di riformare la macchina. Il cuore ritmico dei Led Zeppelin era insostituibile.
L'ultimo impegno dei Led Zeppelin
Dopo lo scioglimento, rimaneva da onorare un ultimo impegno contrattuale con la Atlantic Records. Fu Jimmy Page a prendersi carico di trovare un senso all’operazione. Vent’anni dopo, il chitarrista spiegò così la genesi dell’album:
“Avevamo ancora del materiale valido, brani che non erano stati pubblicati solo perché i nostri dischi erano già pieni. Non volevo lasciarli a marcire negli archivi.”
Non un disco nuovo, quindi, ma neanche un semplice riempitivo. Page volle assemblare un’opera che potesse rappresentare, seppur a distanza, il percorso della band. Una raccolta di tracce isolate che diventava un documento storico, un pezzo mancante della narrazione Zeppelin.
Robert Plant, da parte sua, riconobbe che l’album fosse inevitabile ma comprensibilmente distante dal loro modo abituale di lavorare:
“Era materiale sparso. Non avremmo mai fatto un disco così se fossimo stati ancora una band attiva. Ma come ultimo saluto aveva una sua logica.”
Coda, un disco atipico
Coda è un disco atipico perché attraversa praticamente tutto l’arco della carriera Zeppelin. Il primo brano, We’re Gonna Groove, arriva direttamente dal 1969. Registrato durante un’esibizione al Royal Albert Hall e rimaneggiato in studio, mostra una band giovane, velocissima, in piena transizione dal blues elettrico alla propria identità definitiva. È un frammento dell’urgenza primordiale dei Led Zeppelin, quando l’obiettivo era spingere il volume e la fisicità del rock oltre i limiti.
Poor Tom, proveniente dalle sessioni di Led Zeppelin III, riflette un’altra faccia della band. Meno epica, più ironica e sfumata, quasi folk-blues. John Bonham qui mostra un controllo rarissimo, con un groove che esprime tutta la sua sensibilità dinamica.
Page raccontò che il pezzo rimase fuori dal disco del 1970 non per mancanza di qualità, ma perché “III aveva già un’identità chiara, orientata verso l’acustico, e non volevamo disperdere il suo equilibrio.”
Il cuore più energico di Coda è costituito dai tre brani registrati durante le sessioni di In Through the Out Door (1978): Ozone Baby, Darlene e Wearing and Tearing.
In quegli anni i Led Zeppelin cercavano di riconquistare una compattezza messa a dura prova dalle difficoltà personali. Paradossalmente, il gruppo si ritrovò proprio in studio, con nuove idee e un desiderio di rinnovamento.
Wearing and Tearing è uno dei pezzi più aggressivi dell’intera discografia Zeppelin: un attacco frontale al punk che dominava la scena britannica. Page lo definì “la nostra risposta più diretta a chi diceva che eravamo diventati dinosauri.”
Il brano avrebbe dovuto essere suonato al festival di Knebworth nel 1979, ma non se ne fece nulla. Rimase nei nastri, esplosivo e inedito, fino a Coda.
Tra i momenti più significativi del disco spicca Bonzo’s Montreux, un assolo di batteria registrato nel 1976 a Montreux, con Page che aggiunse successivamente effetti elettronici e trattamenti sonori. Il brano, riascoltato dopo la morte di Bonham, suonava come un involontario omaggio.
Page commentò:
“Quella registrazione mostrava il lato più creativo di John. Non era solo potenza: era inventiva, musicalità pura. Era giusto che fosse nell’ultimo album.”
Ricordare cosa è stato lasciato indietro
Coda non nacque come un disco unitario. Page dovette svolgere un ruolo quasi da archivista: ordinare, restaurare, scegliere, ripulire, aggiustare senza snaturare. L’obiettivo era duplice: dare dignità ai brani e mantenere una continuità sonora che permettesse all’album di respirare come un’opera autonoma.
Nonostante l’eterogeneità, Coda ha una sua coerenza interna. Non è un greatest hits, non è un’antologia: è un documento e forse l'unico finale possibile.
All’uscita, le recensioni furono divise. Alcuni critici liquidarono Coda come un prodotto imposto dal contratto, con materiale “di scarto”. Altri riconobbero il valore storico dell’operazione. Con il tempo, però, la percezione è cambiata radicalmente. Il pubblico ha riconosciuto che Coda, pur non essendo un album “maggiore”, offre una prospettiva unica sulla vitalità creativa della band in momenti diversi della sua evoluzione.
Plant, con l’onestà che lo contraddistingue, disse anni dopo:
“Non è un disco che rappresenta tutto ciò che eravamo. Ma è un modo per ricordare cosa abbiamo lasciato indietro. E va bene così.”