Closer, il requiem post-punk dei Joy Division
18 luglio 2025 alle ore 17:44, agg. alle 19:43
Il 18 luglio 1980 - due mesi dopo la morte di Ian Curtis - i Joy Division pubblicavano Closer: testamento algido che aprirà le porte ai New Order
Il 18 luglio del 1980 i Joy Division pubblicavano "Closer", secondo e ultimo album della band inglese.
Prodotto ancora una volta da Martin Hannett per la Factory Records, "Closer" finì per diventare una pietra miliare del sound dark e post-punk e il punto di rottura della band.
Due mesi prima dell'uscita dell'album il frontman Ian Curtis si tolse la vita a soli 23 anni e dalle ceneri di ciò che fu sorgeranno i New Order.
La nuova band prenderà una rotta completamente diversa dalla precedente, sviluppando però alcune istanze emerse già nell'ultimo lavoro.
L’inquietudine che traspare in ogni singola nota nasce da quella fragilità creativa ed emotiva che si tradurrà in un’opera monumentale: un requiem post‑punk che riflette quel che Ian era diventato e stava vivendo nei suoi ultimi giorni.
Le registrazioni di Closer
Nel marzo del 1980, tra il 18 e il 30, i Joy Division entrarono nei Britannia Row Studios di Londra, con il produttore Martin Hannett al timone.
Quello fu un periodo di sperimentazione intensa: Curtis aveva ammesso che i testi si scrivevano quasi da soli, come una possessione inarrestabile. Ian descrisse una sensazione claustrofobica, come se fosse trascinato in un mulinello dall’interno di sé, metafora tragica e profetica per quel che sarebbe accaduto poco dopo.
La scrittura del materiale fu divisa in due fasi: le tracce più ruvidamente chitarristiche – “Atrocity Exhibition”, “Passover”, “Colony”, “A Means to an End”, “Twenty Four Hours” – erano già strutturate entro la fine del 1979, molte suonate in seguito dal vivo.
Le restanti – “Isolation”, “Heart and Soul”, “The Eternal”, “Decades” – scritte nel primo 1980, mostrano invece chiaramente l’inclusione massiccia di sintetizzatori, preludio al suono futuro dei New Order.
Martin Hannett, mai abbastanza celebrato come architetto del suono della band, registrò ogni tamburo separatamente, applicando delay, riverberi, effetti alienanti.
Il produttore trasformava ogni suono, perfino rumori ambientali (come una bottiglia che si rompe o lo sciacquone di un bagno) in texture sonore; un approccio visionario che rese Closer più freddo e austero rispetto all’esordio Unknown Pleasures .
La mostra delle atrocità
Nel periodo della registrazione, il matrimonio di Curtis si stava disgregando, la sua epilessia peggiorava e la depressione lo divorava.
Non a caso le liriche diventano confessione estrema: in Isolation canta “I’m ashamed of the person I am”, e in Passover chiede “Can I go on with this train of events?”; nel finale di Decades evoca “We knocked on the doors of Hell’s darker chamber” come in un ultimo approdo esistenziale.
“Ian non voleva anestetizzarsi con le medicine”, disse Hannett. E infatti la sua voce appare fragilissima, ma incredibilmente espressiva in brani come Heart and Soul e Isolation.
La produzione rimbomba come un vuoto cosmico che incarna pienamente le emozioni di Ian.
Il tema letterario più forte è quello dell’ Atrocity Exhibition di J.G. Ballard: la mostra delle atrocità come traduzione del rapporto tra il frontman e il palco sul quale era costretto a mettere a nudo ed esporre davanti a tutti il suo malessere.
Come un gladiatore costretto a giocarsi la vita tra le urla del pubblico, Ian Curtis era lì, in pubblica piazza, costretto a vedere la sua vita andare in frantumi sotto i riflettori.
Il brano che apre il disco, dal ritmo ossessivo, nasce da uno scambio strumentale tra Peter Hook e Bernard Sumner, che invertirono ruolo e strumenti (Hook suonò chitarra, Sumner il basso), accendendo un riff dissonante e inquieto. Quando Hannett applicò effetti sul mix finale, Hook si infuriò ma il risultato diede vita a quel suono deformato e straniante che definisce la traccia.
La potenza comunicativa della copertina
La copertina dell’album è un colpo al cuore. Scattata a Genova nel Cimitero monumentale di Staglieno - dove venne scattata anche la foto per la copertina di Love Will Tear Us Apart - rappresenta una scultura dedicata alla lamentazione del Cristo realizzata da Demetrio Paernio nel 1910 per la tomba della famiglia Appiani.
Tre figure piangenti sopra un corpo disteso, il tutto in bianco e nero, austero, senza scritte visibili
L’immagine fu scelta da Peter Saville e Martyn Atkins prima della morte di Curtis, ma dopo il suicidio la foto assunse un significato tragico: molti accusarono la band e la Factory di sfruttare la tragedia.
La foto era stata approvata però da Ian stesso e solo per ritardi nella pubblicazione uscì postuma come un epitaffio visivo perfetto.
"Era già tutto deciso,” disse Saville. “Era Ian stesso ad amare quell’estetica funebre, era parte di ciò che voleva comunicare.”
Un ponte verso il futuro
Pubblicato il 18 luglio 1980 dalla Factory Records, Closer ottenne un’accoglienza impressionante, sia commerciale che critica. Arrivò alla #6 della UK Albums Chart, una posizione altissima per un disco così cupo e lontano dal mainstream. In Nuova Zelanda raggiunse addirittura la #3, mentre in USA si piazzò nella classifica Billboard Independent.
La critica fu entusiasta, il NME lo definì “il miglior album dell’anno”, con Paul Morley che lo descrisse come “l’ultimo documento di un’anima brillante e ferita”.
Ma dal punto di vista di comunicazione la vera forza dell’album stava nel suo infelice tempismo: pubblicato dopo la morte di Ian Curtis, ma registrato prima, Closer diventa immediatamente parte della sua mitologia.
Ogni strofa, ogni battuta sembra improvvisamente assumere significati doppi, criptici, mistici.
“Chi può scrivere un disco così bello sapendo di non voler vivere per ascoltarlo?” si chiedevano i fan.
Musicalmente, Closer apre già ai territori dei New Order.
Le linee di basso ossessive, le strutture meno convenzionali, l’uso delle tastiere e dei beat elettronici in brani come “Isolation” e “Heart and Soul” disegnano un ponte sonoro tra il post-punk e la wave sintetica che avrebbe dominato gli anni ’80.
È il passaggio dal nichilismo chitarristico all’alienazione digitale che segnerà un'epoca e generazioni di artisti a venire, dai Radiohead ai Nine Inch Nails.