Boy, il passaggio all'età adulta degli U2
20 ottobre 2025 alle ore 13:00, agg. alle 13:41
Il 20 ottobre del 1980 gli U2 pubblicavano BOY, album di debutto che segnò il passaggio dall'adolescenza all'età adulta per la band irlandese
Quando nel ottobre del 1980 uscì Boy, primo album in studio degli U2, pochi potevano immaginare che quel disco – grezzo, urgente, pieno di tensione adolescenziale – sarebbe diventato una pietra miliare non solo per la band irlandese, ma per il rock in generale.
Anche perché, in quel momento, gli U2 non erano ancora “la più grande band del mondo” ma semplicemente un quartetto di Dublino che stava cercando la propria voce, il proprio posto, la propria identità.
Nati alla fine degli anni ’70 a Dublino, gli U2 (Bono,The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr.) venivano da una scena locale energica e ancora poco nota a livello internazionale.
Il punk e la new wave avevano aperto varchi, e loro respiravano quella aria: non erano completamente punk, né completamente new wave, ma quella spinta di ‘fare presto, dire tanto, alzare il volume’ era ben presente.
A livello discografico, prima di Boy c’era stato l’EP Three – un assaggio di ciò che sarebbe venuto.
Le registrazioni con Steve Lillywhite
Eppure, arrivati ai Windmill Lane Studios di Dublino per registrare, la band si trovava in una fase di transizione: ancora acerba in molti sensi, ma con la volontà di affermarsi.
Molti dei brani che finirono sull’album erano nati tra la sala prove di Mount Temple Comprehensive School e piccoli club di Dublino, forgiati durante interminabili sessioni notturne in cui la band cercava un equilibrio tra la crudezza punk e una sensibilità melodica più ampia.
Larry Mullen Jr., che all’epoca aveva appena vent’anni, ricordava che "non sapevamo davvero come si facesse un disco, ma avevamo una visione". E quella visione passava per un suono capace di “aprire spazi”, come un’eco che si espande tra le mura di una chiesa vuota.
Il produttore scelto fu Steve Lillywhite – giovane, brillante, con già alle spalle lavori con Siouxsie & the Banshees ed XTC– che diede al disco quel suono crudo ma definito, imbastito con rigore e con la giusta provocazione e, con gli anni, diventerà una figura cardine per il successo degli U2.
Fu lui a intuire che la chiave del suono U2 stava nell’energia delle performance, non nella perfezione tecnica.
Portò letteralmente il caos dello stage dentro lo studio: Larry venne spostato a suonare in un corridoio per catturare la naturale riverberazione delle pareti, mentre Lillywhite appendeva bottiglie, catene e pezzi di metallo al soffitto per creare effetti percussivi improvvisati. Quella scelta diede al disco un carattere unico, immediato, quasi “in presa diretta”.
The Edge, dal canto suo, iniziò a definire un linguaggio chitarristico che sarebbe diventato iconico. Il delay non era solo un effetto, ma diventò un vero strumento ritmico e il marchio di fabbrica del suo sound.
Dalla fanciullezza all'età adulta
Bono, invece, scriveva testi ancora acerbi ma profondamente istintivi. L’intero disco è attraversato da un tema ricorrente: la transizione dall’innocenza all’esperienza, alla vita adulta.
Canzoni come I Will Follow, dedicata alla madre scomparsa, o Out of Control, scritta nel giorno del suo diciottesimo compleanno, riflettono un’urgenza esistenziale, un bisogno di significato in un mondo in rapido cambiamento.
“Non cercavamo di essere politici, volevamo solo capire chi eravamo”, avrebbe raccontato anni dopo. E in quella vulnerabilità stava la loro forza.
La copertina stessa – un bambino (Peter Rowen, fratello di un amico di Bono - Guggi dei Virgin Prunes - che comparirà anche sulla copertina di War e che sarà ricompensato in barrette di cioccolata) a torso nudo con le mani dietro la testa – simboleggia quella fanciullezza, quell' “essere ancora ragazzo” che guarda al mondo e al proprio futuro.
Ma c’è un “dietro le quinte”: in Nord America la casa discografica (Island Records) si preoccupò che l’immagine del bambino potesse essere fraintesa come pedofilia e impose una versione alternativa con i membri del gruppo, stilizzati e distorti.
L’artista / fotografo Sandy Porter ha raccontato che la copertina americana venne lavorata con tecniche analogiche – fotocopie, movimentazioni della base carta, effetti “sabbia lavata dal mare” – e costò pochissimo.
Un futuro forgiato sui live
All’uscita, il 20 ottobre 1980, Boy non conquistò subito le classifiche, ma colpì critica e pubblico per la sua autenticità. In un’epoca in cui la new wave cominciava a farsi manierista e il punk si era già consumato, U2 portavano una nuova forma di intensità emotiva.
I giornali musicali britannici come NME e Melody Maker parlarono di “una band che crede davvero in ciò che suona”, mentre in America Rolling Stone notò che “Bono canta come se stesse cercando la salvezza in tempo reale”.
Il singolo I Will Follow entrò nelle playlist di diverse radio universitarie statunitensi, aprendo un varco che avrebbe poi reso possibile la conquista del mercato americano. Il pubblico riconosceva nei quattro ragazzi di Dublino un senso di purezza e sincerità che mancava da tempo nel rock. Boy era un disco imperfetto, ma pulsante di vita.
Con il passare degli anni, la critica lo ha rivalutato come una dichiarazione di intenti: un debutto che definiva già la missione spirituale e politica della band.
Il Boy Tour, iniziato nel settembre 1980 e proseguito fino all’estate del 1981, fu il banco di prova che trasformò gli U2 da promessa locale a forza internazionale. Con oltre 150 date tra Europa e Nord America, la band costruì una reputazione di live act devastante. Nei club più grandi, così come nei piccoli teatri americani, Bono si muoveva come un predicatore rock: saltava tra il pubblico, arrampicava sugli impianti, cercava costantemente il contatto fisico con chi stava sotto il palco. Era energia pura, contagiosa.
Un momento simbolico avvenne al Paradise Club di Boston, il 13 dicembre 1980: quella sera U2 registrarono il loro primo concerto radiofonico per l’emittente WBCN. La performance, poi circolata come bootleg, mostrava una band in stato di grazia. Molti critici americani, da quel momento, li definirono “la next big thing”.
Il tour ebbe anche un impatto trasformativo sulla band stessa: Bono imparò a gestire la voce e la presenza scenica, The Edge a dosare il suono per grandi spazi, e il gruppo nel complesso trovò la propria identità.
A fine tour, il successo non era ancora esplosivo, ma la base era solida. Le recensioni positive, la dedizione del pubblico e la crescente attenzione dei media prepararono il terreno per October (1981) e soprattutto per War (1983).